martedì 10 gennaio 2012

Agosto 2011

giovedì, 11 agosto 2011

La miglior dimostrazione che il copyright è una stupidaggine sono le ricette di cucina.

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lunedì, 08 agosto 2011

Quanto tempo ci vorrà prima che un sacchetto di vera plastica diventi davvero prezioso?

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mercoledì, 03 agosto 2011

Ma se, per dire, ci fosse un blackout (tempesta solare, hacker, castigo divino) e i computer della banca andassero in tilt, ce li darebbero i nostri soldi?
Ci crederebbero che li abbiamo se non ce ne fosse una prova aggiornata sul sistema informatico?

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Maggio 2011

sabato, 28 maggio 2011

Mi hanno chiesto cosa vuol dire utopia. Spiegarlo, si spiega. Il problema sono gli esempi: esempi attuali, intendo. Tutti gli esempi che mi sono venuti in mente sono del passato, oggi si producono - mi pare - solo utopie negative.
Se a qualcuno viene in mente un artista, un letterato, un musicista, uno statista, un regista di oggi che abbia inventato, o prodotto o quello che è, una utopia me lo dica, per favore.
Noi sarà che eravamo stanchi ma la cosa più vicina che siamo riusciti a trovare è Star Trek.

C'entra anche quel bellissimo film che ho visto qualche giorno fa: 'Non lasciarmi'. Bellissimo e di sconcertante angoscia: perché alle distopie siamo abituati, ne abbiamo lette e viste al cinema tante, alcune splendidamente declinate altre meno, ma in tutte bene o male c'è una fiammella di ribellione, uno scatto di devianza, un granello di sabbia nel sistema. In questo film no. E questa totale, infinita e totale accettazione, senza che nemmeno sia usata la forza perché semplicemente non c'è alcun bisogno di esercitarla, io l'ho trovata di desolazione agghiacciante, di tremenda violenza. Se vi capita guardatelo, eh.

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giovedì, 26 maggio 2011

- Carletto, vieni che è in tavola. Senti Carletto, ma cos'è di 'sti referendum?
- Quali referendum?
- Mah, ho trovato la Nives giù dal prestinaio, dice che c'è i referendum...
- Mavalà, Esterina, quella lì chissà cosa ha capito. Se c'erano i referendum c'erano i cartelli in giro, no? I manifesti, ti ricordi quelli del divorzio, c'era pieno di manifesti. La Nives  già capiva poco prima, adesso che è vecchia figurati.
- Dice che c'è il referendum sull'acqua.
- Sull'acqua? E che cazzo di referendum è? Come si vota sull'acqua? Liscia gassata o ferrarelle? Ma per favore... Dammi qua un'altra fetta di arrosto, qua.
- Mah, non so, magari ho capito male io...
- Quello sicuro. Che poi tanto son tutti soldi buttati, i referendum, sai quanti soldi spendono per ste cazzate, mai che facessero un referendum sugli zingari, per dire. Quello sì che lo voterei.
- Che poi quella domenica lì c'è la costinata giù all'oratorio, meglio che andiamo lì allora.
- Eh. Che poi figurati se la Nives o quel scemo del Luigino suo marito sanno se si deve votare sì o no. Io mai capito, quello. Per quello non vado mai. Anzi tieni a mente che bisogna che vado su un po' presto, alla costinata, che col Piero dobbiamo far su la brace.

Qui, per esempio, i referendum praticamente nessuno sa che ci siano.
E tra l'altro a me i referendum preoccupano sempre un po'.
Perché niente mi toglierà dalla testa che per quanto si spieghi la faccenda del 'vota SI per dire NO' (o viceversa) qualcuno -e probabilmente più di qualcuno- si sbaglia comunque.
Non è la preoccupazione riguardo ai risultati, visto che in teoria gli errori dovrebbero equivalersi da una parte e dall'altra e quindi elidersi, è il pensiero che tanta gente voti il contrario di quello che vorrebbe a infastidirmi.
Sono convinta, tra l'altro, che qualunque procedura che necessiti di troppe e troppo ripetute spiegazioni sia sbagliata.
Se servono tonnellate di manifesti e volantini e ore e ore di avvisi elettorali con sottotitoli per non udenti e linguaggio dei segni per spiegare una cosa, vuol dire che quella cosa è malfatta.
E non capisco perché mai. Posto che i referendum sono abrogativi, basterebbe porre i quesiti sotto la forma: 'La legge xy dice che blablabla. Sei d'accordo di mantenere questa legge?'
Chi vuole mantenere la legge vota sì, chi vuole abrogarla vota no. Chi non vuole la privatizzazione dell'acqua, per dire, vota no. Semplice, chiaro, a prova di analfabeta di ritorno. Sì o no?

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giovedì, 19 maggio 2011

Ma perché continuano a dire ai bambini di non correre? Cosa gli succede se corrono?

- Non correre!
- Perché?
- Perché poi cadi e ti fai male.
- Non cado, non ho mica due anni.
- Ieri sei caduto e hai pianto.
- Ma adesso mi è passato. Posso correre?

- Non correre!
- Perché?
- Perché poi cadi e ti fai male.
- Non posso farmi male, è tutta erba. Non mi faccio male a cadere sull'erba.
- Ti sporchi i pantaloni. Magari li rompi, anche.
- Se li tolgo posso correre?

- Non correre!
- Perché?
- Perché poi sudi.
- E beh?
- Ti fa male sudare.
- Ma tu sudi quando vai in palestra. Anche il papà suda quando va a correre.
- Ai bambini fa male sudare. Poi prendono aria e si ammalano.
- Ma poi muoiono?
- Ma no!
- Allora posso correre?

Fateli correre, diosanto. Abbiamo sudato tantissimo, ci siamo riempiti di croste le ginocchia e non siamo morti. Fateli correre, dai. Non so, io certe corse su certi prati me le ricordo ancora.


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mercoledì, 18 maggio 2011

Guarda che se logorri ti forsenno.

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sabato, 14 maggio 2011

Il mio preferito è l'Uccello del Terrore.
In alcuni dei miei momenti di obnubilamento televisivo, mi accade di guardare questi documentari che raccontano di enormi e cattivissime bestie estinte.
Non è tanto la ferocia che mi affascina (si incontrano animali molto più sanguinari in metrò o dal prestinaio), né la qualità delle ricostruzioni filmate, che è piuttosto ingenua: io adoro i nomi.
Fino a qualche tempo fa il mio preferito era l'Orso Gigante dal Muso Schiacciato, ma direi che Uccello del Terrore è ancora meglio.
Era, lui, un enorme pollo, un gigantesco gallinone con un becco sovradimensionato, adunco e affilato. Lo si vede muoversi con quest'andatura saltellante da tacchino festoso, per poi avventarsi con folgorante velocità sulla preda, spezzandola in due col beccone. Mentre il ciuffetto nero gli ondeggia su e giù.
Non sai mai, mentre sei in cucina o esci dal bagno, quando improvvisamente lo vedrai arrivare ballonzolando, le ali strette lungo il corpo, per avventarsi su di te e sferrare il suo colpo di becco fulmineo e fatale.
Non so voi, ma noi qui sono giorni che giochiamo all'Uccello del Terrore.

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Ecco, vedi che non lo diciamo solo io e l'imperatore Adriano.

Se due persone fumano sotto il cartello "Vietato fumare" gli fai la multa, se venti persone fumano sotto il cartello "Vietato fumare" chiedi loro di spostarsi, se duecento persone fumano sotto il cartello "Vietato fumare" togli il cartello.
(Winston Churchill)

Si noti, questa non è propaganda pro-fumo. Fumare uccide, c'è scritto anche sul pacchetto. 
Come se qualcuno potesse essere convinto a non fare qualcosa dopo che ha appena comprato l'occorrente per farlo. Già che si stava parlando di cose inutili.

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sabato, 07 maggio 2011


Bisogna che lo confessi: credo poco alle leggi. Se troppo dure si trasgrediscono, e con ragione. Se troppo complicate l'ingegnosità umana riesce facilmente a insinuarsi entro le maglie di questa massa fragile...
...Ogni legge trasgredita troppo spesso è cattiva: spetta al legislatore abrogarla o emendarla, anche per impedire che il dispregio in cui è caduta quella stolta ordinanza si estenda ad altre leggi più giuste.

(Memorie di Adriano, M. Yourcenar)

Ecco, mi è venuto in mente mentre sacramentavo contro il distributore automatico di sigarette -cerca la tessera dov'è la tessera l'ho lasciata a casa ah no è qui inserisci la tessera estrai la tessera reinserisci la tessera nell'altro senso, no nell'altro, no nell'altro, accidenti è caduta proprio lì tra la macchinetta e la clèr inginocchiati sporgiti con la faccia schiacciata sulla saracinesca eccola tutta sporca inserisci la tessera inserisci i soldi reinserisci i soldi liscia i soldi reinserisci i soldi non dà il resto fanculo al resto volevo solo fumare una sigaretta- e realizzavo quanta inutile fatica profusa nella vertiginosamente falsa e ipocrita supposizione di non far fumare i minorenni.
I quali, maschi e femmine tutti, fumano voluttuosamente e serenamente per la pubblica via, dai quattordici anni in su e spesso anche dai dodici o tredici.

Poi mi sono messa a pensare a tutte le altre leggi complicate, inutili e idiote che ci infestano la vita come ortica, alla cui puntigliosa applicazione siamo obbligati da una occhiuta autorità che trascura ben altre violazioni.
Sei obbligato a mettere il guantino per mettere nel sacchetto arance che da giorni vengono manipolate, caricate, pesate, fatte cadere e raccolte da nerboruti scaricatori sudati e senza guanti.
Sei obbligato a produrre quindici firme su quindici pagine di oscure dichiarazioni relative alla privacy ogni volta che compri un ferro da stiro, sotto l'occhio di telecamere che ti spiano nella scollatura, e dopo aver dichiarato lo stato anagrafico dell'intera stirpe.
Sei obbligato a non vendere gratta e vinci ai minorenni affinché non cadano nell'orrida spirale di perdizione del gioco d'azzardo, mentre è la sciura Ersilia che dilapida la pensione e cena a pane e latte aspettando di diventare miliardaria.
Sei obbligato a bere aranciata col brasato perché un limite assurdo dice che se bevi un bicchiere di vino sei un pazzo pericolosissimo, mentre chi guida dormendo può falciare un pulmann di vecchiette perché il colpo di sonno, si sa, può capitare.


Poi ho smesso di pensarci perché me ne venivano in mente troppe.
E ho chiesto al quindicenne che passava se per favore mi faceva accendere.


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martedì, 03 maggio 2011

Sarà che invecchiando sono diventata cauta, sospettosa e diffidente come un'incrocio tra la zia di Philip K. Dick, un finanziere e una perpetua di Pontida, ma di fronte alla stragrande maggioranza delle notizie, ormai, non riesco a prescindere dalla sindrome Capricorn One.

Nel caso specifico, non sono affatto certa che Osama sia stato ucciso.
(Del resto non sono ancora del tutto sicura di credere che sia mai stato vivo)

Ma riguardo a tutta l'intera faccenda il commento che finora mi è parso tra i più lucidi è quello del Paguro*:
- Hanno ucciso Bin Laden...? Beh, ma a noi che cazzo ce ne frega?


* il Paguro ha diciassette anni e vive rintanato in una inaccessibile spelonca buia e echeggiante, in cui le cui concrezioni di vestiti, avanzi di cibo e cartine di sigaretta si sono stratificate al punto da renderne quasi impraticabile l'accesso. Ne fa fuoriuscire, all'ora dei pasti, lunghe antenne ticchettanti e chele predaci con le quali cattura enormi quantità di qualunque cosa ritenga commestibile, prima di ritirarsi rapidamente nel guscio sigillandone con cura ogni orifizio.

La Pesciarossa dalla lunga coda ondeggiante invece pinneggia languida in un suo acquario per metà onirico e per metà virtuale, intoccata dalle prosaiche necessità di pulizia, nutrizione e rigoverno del mondo da cui noi terrestri ci lasciamo così incredibilmente affliggere. In certi momenti, appropriatamente scelti da un destino remoto e benevolo, cibo e pantaloni puliti le fluttueranno davanti affinchè ne fruisca, com'è sempre stato e com'è nell'ordine naturale delle cose che sia.
Il suo commento non è pervenuto.

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domenica, 01 maggio 2011

Ma di cosa sa, di preciso, il profumo di santità?


(cioè, lo riconosci se lo senti, per dire, camminando per strada?
E quante volte l'abbiamo sentito senza rendercene conto?
O non capita mai a nessuno, nella vita di tutti i giorni, di sentirlo?
E allora come fanno a riconoscerlo subito?


...sa di rosa, di giglio, d'incenso, di lavanda, di sapone, di pizza?)

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lunedì 2 gennaio 2012

Aprile 2011

sabato, 23 aprile 2011

Allora, facciamo qualcosa di creativo. Per esempio diventiamo apolidi.
Ci sto pensando da un po'. Lasciando un momento da parte quello che è il "sentirsi italiani" come appartenenza a un certo retroterra storico e culturale, mi chiedo: ha senso oggi avere una nazionalità, una cittadinanza che ci dichiara appartenenti ad uno specifico Stato? E se sì, che senso ha?
Se vado a stare in Lapponia o nel Madagascar mi farò là un permesso di lavoro, lavorerò pagando le relative tasse e imposte dirette e indirette, imparerò lingua e modalità di comportamento, rispetterò leggi e consuetudini, usufruirò dei tram e del Pronto Soccorso. Esattamente come fa un lappone o un malgascio che viene a stare qui per un certo tempo.
E quindi, dove sta precisamente il senso di aver scritto da qualche parte che sono lappone o malgascio o italiano?
Non è una domanda retorica, me lo chiedo seriamente.

Certo, nel mio essere, nel brodo di storia, tradizioni e cultura in cui galleggia il mio modo di vedere il mondo, ci sono Dante e Petrarca e Italo Calvino, ci sono Piero della Francesca e Botticelli, e Giulio Cesare e Raffaella Carrà.
Ma certo ci sono anche Tolstoi e Keruac, e Cervantes e Flaubert e Queneau. E Mozart e i Pink Floyd, e Dennis Hopper e Van Gogh.
E più Garcia Marquez che Pascoli, più Kafka che Carducci, più Tom Waits che Nicola Arigliano. E ognuno potrebbe proseguire per ore.

E quindi? In base a cosa di preciso ci si attribuisce una nazionalità? E a cosa di preciso ci serve? Se qualcuno ne ha un'idea chiara e convinta sarei molto contenta me ne facesse partecipe: io non lo so davvero.
La nascita non c'entra niente: un signore nato in Argentina e che ci vive da sempre risulta italiano, anche se nel paese dei suoi non ha la minima intenzione di tornare e il Molise non sa nemmeno bene dov'è, mentre un giovanotto nato in Italia, che ci ha fatto l'asilo e le elementari, che va all'oratorio e gioca da sempre nella Roccellese, che parla un perfetto bergamasco e sta per sposarsi con la sua tipa del liceo, una di Baranzate, risulta straniero: paga la tassa sull'immondizia ma non vota nemmeno per il Sindaco.
Ma supponiamo che a uno non interessi votare. Supponiamo che non gliene importi niente di essere definito con una precisa nazionalità. Supponiamo che nessuna nazione gli piaccia più di un altra, che non ce ne sia nessuna che più di un'altra senta corrispondere al suo più intimo sentire, perché non può chiamarsi fuori?

Già, perché si può divorziare da un coniuge, si può disconoscere un figlio, si può rinunciare al sacerdozio o all'abito monastico, si può perfino rinnegare una religione o un credo.
Ma pare non si possa rinunciare a una cittadinanza.
Magari non avrò cercato bene, ma ho frugato e frugato in giro: da quanto ho visto non risulta affatto facile diventare apolidi. Anzi, sembra quasi che non ci sia affatto modo di diventarlo volontariamente.
Si trovano lunghe e in alcuni casi molto tecniche spiegazioni sul come fare ad acquisire una cittadinanza, sul come uscire dalla condizione di apolide. Ma non ne ho trovata alcuna sul come si faccia ad acquisirla per libera scelta, quella condizione.
Perché? Per quale motivo la cittadinanza deve essere un obbligo? E non è una forma insopportabile di coercizione della libertà di un individuo obbligarlo ad essere per forza cittadino di una nazione o di un'altra?

A me essere apolide piacerebbe, per esempio. Se qualcuno sa come si fa me lo dica, per favore, ci tengo. Magari ci va di diventare apolidi in tanti, chissà.


Allego, così per gradire, questo pezzo che Ralph Linton, usava come introduzione al suo corso di antropologia culturale.




Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell'India; o di lino, pianta originaria del vicino Oriente; o di lana di pecora, animale originariamente domesticato nel vicino Oriente; o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente. Si infila i mocassini inventati dagli indiani delle contrade boscose dell'Est. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egizi.
Tornato in camera da letto,  prende i suoi vestiti da una sedia il cui modello è stato elaborato nell'Europa meridionale e si veste. Indossa indumenti la cui forma derivò in origine dai vestiti di pelle dei nomadi delle steppe dell'Asia, si infila le scarpe fatte di pelle tinta secondo un procedimento inventato nell' antico Egitto, tagliate secondo un modello derivato dalle civilta' classiche del Mediterraneo; si mette intorno al collo una striscia dai colori brillanti che è un vestigio sopravvissuto degli scialli che tenevano sulle spalle i croati del XVII secolo. [...]
Andando a far colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un'antica invenzione della Lidia. Al ristorante  il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina; il suo coltello è di acciaio, lega fatta per la prima volta nell'India del Sud, la forchetta ha origini medievali italiane, il cucchiaio è un derivato dell'originale romano. Prende il caffè, pianta abissina, con panna e zucchero. Sia l'idea di allevare mucche che quella di mungerle ha avuto origine nel vicino Oriente, mentre lo zucchero fu estratto in India per la prima volta. Dopo la frutta e il caffè, mangerà le cialde, dolci fatti secondo una tecnica scandinava con il frumento, originario dell'Asia minore. [...]
Quando il nostro amico ha finito di mangiare si appoggia alla spalliera della sedia e fuma, secondo un'abitudine degli indiani d'America, consumando la pianta addomesticata in Brasile. Fuma la pipa, derivata dagli indiani della Virginia o la sigaretta, derivata dal Messico. Può anche fumare un sigaro, trasmessoci dalle Antille attraverso la Spagna. Gli portano il conto, scritto con cifre inventate in Arabia, e mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale inventato in Cina  secondo un procedimento inventato in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all'estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano.


A piacere, sostituire americano con padano o altro, a scelta.

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domenica, 17 aprile 2011


Quando si è immaginato il Panopticon il buon Jeremy Bentham l'ha immaginato come un carcere, anzi come l'ipotesi di carcere perfetto.
Una possibile visibilità assoluta per lui - e con tutta probabilità per tutti gli uomini del suo tempo - non poteva che essere associata ad una condizione punitiva, ad una reclusione, alla massima limitazione concepibile della libertà personale.
L'essere visti in qualunque momento e peggio ancora, forse, il non sapere mai con certezza in quale momento e da chi si è osservati gli pareva ovvio fosse lo stato di un coartato, di un prigioniero.
Chissà cosa pensa adesso, guardando noi affannarci per ottenere più visibilità, e ancora, ancora di più. Per condividere, come si dice ora, quanti più momenti nostri e stati d'animo, e immagini, e pezzi di vita possibile.
Io mentre bacio il fidanzatino, tu mentre ti tagli le unghie, lui che canta strillando stonato, la famosa struccata durante una crisi di pianto e  la nonna il giorno del suo compleanno, Ali e Giuli abbracciate nella sbronza di sabato scorso, e la prima cacca nel vasino del nostro Kevinino (come si faranno in italiano i diminutivi affettuosi per bambinetti con idioti nomi stranieri?)
E ogni volta che guardi una mail o una foto, che ascolti una canzone, che scrivi una frase, qualcuno ti chiede garrulo 'vuoi condividere questa bella cosina?': ma certo, ma subito, la facebucco, la tuitto, la coso, non vedo l'ora che tutti sappiano che mi piace la foto del gattino che dorme, che mi piace la battuta che ha fatto Giancarlo.
E google earth, e street view e earth cam, e ogni volta che cammini per strada e ti scaccoli pensoso, ogni volta che tagli il prato in costume, ogni volta che ti affacci alla finestra tutto spettinato pieno di cispe, ogni volta che fai fare al cane la pupù sul marciapiede, qualcuno ti guarda. Forse. Probabilmente. Chissà dove, chissà chi. Che bello.
Jeremy pensava che l'essere costantemente osservati avrebbe fatto in modo che i prigionieri non potessero che comportarsi bene. Anche il grande fratello la pensava così.
Resta da capire dove sbagliassero.
E come mai noi, prigionieri volontari e festosi, continuiamo a comportarci così male. E facciamo anche ciao con la mano.

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sabato, 09 aprile 2011

Questi - diciamo - tre anni sono stati come essere proiettati a incontrollabile velocità a bordo di un mezzo di cui non si conosce affatto il sistema di pilotaggio, in direzione di una meta solo approssimativamente nota posta a distanza sconosciuta, senza avere la minima idea se la strada sia quella giusta. Bendati.

Adesso però faccio una pausa. Fermo il mezzo (ci sarà pure un modo), mi ripettino i capelli che il vento mi ha ingarbugliato negli occhi e nei pensieri, accendo una sigaretta e sto seduta un po'.

C'è sicuramente un plaid nel bagagliaio, ci dovrà ben essere da qualche parte un bagagliaio.

Un pic nic, sul margine dello stradone.

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Agosto 2009

lunedì, 17 agosto 2009

Notte buia e calda di pipistrelli e stelle, il sudore si asciuga addosso piano piano, il ghiaccio si muove nel bicchiere. Ha lo stesso suono della sfera che porto al collo, Venere mi saluta e cammina come me: poi verrà la luna. Un respiro e un soffio nella nuca, cera calda a gocce, questa notte sfatta madida e slacciata di falene e grilli. Com'è breve un anno, e com'è largo.

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Giugno 2008

martedì, 24 giugno 2008

Le gite in montagna dello zio Cino erano sempre in salita.
Non nel senso ovvio che le montagne sono alte per cui per arrivare in cima bisogna salire, nel senso che le escursioni organizzate da lui erano tutte e soltanto in salita.
Con lui la gita aveva sempre lo stesso svolgimento: quattro o cinque ore di avvicinamento in forte pendenza, un paio d'ore di falsopiano in salita, poi inizia l'ascesa vera e propria, durissima e quasi verticale. Arrivati in vetta, altre tre o quattro ore di contropendenza a salire, poi un ultimo faticoso strappetto, e lì in cima al pendìo c'è la macchina.
Nessuno ha mai capito come facesse ma era molto bello andare in montagna con lui e quindi si continuava a farlo, anche se per interi anni nessuno ha mai tolto le pelli di foca da sotto gli sci.

Resta il fatto che in fin dei conti aveva ragione: è tutta salita.
Quelli che dicono guarda adesso si fa quest'ultimo sforzo, questa tirata, poi è tutta discesa, ti imbrogliano. O quantomeno non sanno la strada.
È tutta salita. Ma è vero che si arriva in vetta, intanto, e che a metà strada si slacciano gli scarponi e si mangia guardando le nuvole.
E in cima c'è poi pur sempre la macchina. Per tornare su, verso casa.
A metà mattina ho levato i calzoni di lino bianco leggero e i sandaletti col tacco coi quali avevo firmato contratti e discusso condizioni bancarie e rivestita di maglietta da muratore ho recuperato alla stazione Patricia - gentile peruviana un po' appesantita ma di lunga tenuta, assoldata per la bisogna - e ho passato con lei sette ore filate senza pause né pranzi o merende, con guanti al gomito e detersivi da viaggio psichedelico a fare pulizie di grosso, di quelle dove si strofina, forte. E non siamo nemmeno a metà.
Per il resto, andrò a letto presto. Che c'è molta salita da fare e la vedo già da qui, mentre bevo il bicchiere di vino che saluta il tramonto, e i gelsomini e le zucche sono contenti e innaffiati, la vedo da qui, tutta a tornanti. Che bello.

venerdì 30 dicembre 2011

Maggio 2008

venerdì, 23 maggio 2008

- Slobodàn, carissimo.
- Carmine! Che piacere.
- Tutto bene? I tuoi, le ragazze?
- Massì, massì. Non ci possiamo lamentare. Le ragazze sono un fiore poi, vedessi. Ne ho una cinquantina nuove, tutte moldave e lettoni: una delizia, ti scaldano il cuore, guarda. I ragazzi invece  danno sempre qualche grattacapo, ho dovuto eliminarne due giusto l'altro ieri, che facevano un po' troppo i birbantelli. Ma son ragazzi, si sa, ogni tanto gli scappa la mano e tocca rimetterli in riga... Tu piuttosto, hai sistemato quella cosuccia che ti impensieriva?
- Ma sì, niente di che, tutto risolto. È che l'acido diventa ogni giorno più caro, accidenti. Di questo passo andrà a convenire scioglierli nello champagne, andrà.
- Non me lo dire. Fortuna che adesso ripartono le grandi opere e ci saranno tutti i piloni in calcestruzzo che si vuole... quello è una gran comodità, valà. E che mi dici di Pasquale O' Funerale? Sta bene, hai notizie?
- Benone, benone: l'ho sentito settimana scorsa. In gran forma. Si lagna che ha messo su peso, quello sì. Il 41bis è una maledizione per la linea: cucina troppo ricca, troppo poco movimento... io avevo preso più di otto chili, a suo tempo. Ma passa a trovarlo qualche volta che gli fa piacere, lo sai.
- Anche a me, sapessi. È che sai bene, manca sempre il tempo... gli impegni, il lavoro, la famiglia, la Famiglia... Ma mi mancate, sai? Se n'è fatte di cose, insieme, eh?
- Eh, davvero. Che bella compagnia. Quanti bei ricordi. Quando ci penso l'idea che sia tutto finito mi fa proprio tristezza, sai.
- Bisogna esser forti, Carmine mio, bisogna esser forti. Lo diceva sempre mio nonno: Un vero uomo si batte fino alla fine, ma sa accettare la sconfitta.
- Già. Parole sante. E questa volta ci hanno proprio battuto, eh... Finito. Tutto finito.
- E che vuoi farci, quando non si può non si può. A tante cose avete ben tenuto botta, alle infiltrazioni, alle intercettazioni, alle investigazioni fatte a modo, alla fine ne siete sempre usciti fuori. Ma questa cosa qui che non puoi più far girare contanti e assegni sopra i 5.000 euro è un colpo troppo duro. Non ce la si può fare, è inutile, non c'è maniera.
- No, stavolta no. Ci hanno sconfitto, ce l'hanno fatta... maledetti.
- Guarda c' è Escobanez che è di un giù... non se l'aspettava, non se l'aspettava. Tutto ma non questo. Un colpo così, non riesce a farsene una ragione. E non ti dico Alioscia: l'altra sera piangeva come un bambino... sai questi russi quanto son sentimentali.
- Povero caro, digli che sono commosso dalla sua partecipazione, diglielo. Del resto hai ragione tu, tocca arrendersi e darsene pace: hanno vinto, una volta per tutte.
- Pareva impossibile ma sì, finiti... vi hanno finiti. Un colpo da maestro, questo dei 5.000 euro, gli va dato atto.
- Massì, onore al merito. Stavolta ci sono riusciti. Abbiamo perso. E ora ti lascio, Slo, che ho anche da pensare a tutta sta gente che mi tocca licenziare... killer, corrieri, estorsori, spie, trafficanti, puttane... gente che ha famiglia, non mi ci far pensare. Quanti posti di lavoro, quanta gente a spasso... non mi ci far pensare.
- Son problemi grossi eh, lo so bene. Ma vedrai che qualcos'altro da fare lo trovi, coraggio, su, non ti lasciar andare.
- Ma no, non preoccuparti, qualcosa troverò... avevo in animo di aprire un piccolo parrucchiere magari, mia moglie sai, è bravina... Certo, la mafia era un'altra cosa. Tanto lavoro per finire così, che peccato.

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domenica, 11 maggio 2008

Sono preoccupate, le autorità: gli pare siano troppi i matrimoni tra rumeni e magrebini. Gli è sorto l'atroce sospetto che da quando i rumeni - accidenti, ma quanto mai, ma chi l'ha deciso? - sono diventati cittadini europei questa gentaglia si sposi per ottenere più facilmente un permesso di soggiorno.
Orrore.
Occorrono controlli.
Ora, io trovo anche solo l'idea di affacciarsi curiosi e prepotenti a controllare questo campo semplicemente indegna e ripugnante.
Per due, che a me sembrano chiarissimi ed evidenti, motivi.

Primo. A me che qualcuno - chiunque - si permetta di sindacare sui motivi che spingono chicchessia a sposarsi fa inorridire.
Se sposarsi è lecito (che a me non piaccia è tutt'altra questione) allora chiunque sposa chi gli pare e per i motivi - suoi - che più gli aggradano.
A meno che non si consideri opportuno e fattibile un apposito Test di Vero Amore da effettuarsi - tutti - prima di avere il permesso per la celebrazione.
Sarei molto curiosa di vederne lo svolgimento: in apposite affollate sessioni o in tremebondi e sudatissimi tu per tu delle coppiette davanti a una arcigna commissione?
(Io mi son fatta il foglietto, e tu? Noooo, e se ti beccano? Io ho studiato un casino, con Ahmed, siamo preparatissimi, siamo sempre stati dei secchioni tutti e due.)
- Bene signori, dopo lo scritto di lettera d'amore e l'orale di infuocata dichiarazione ora preparatevi alla prova pratica. Gli amplessi si svolgeranno necessariamente entro le ore 12. Al suono della campanella dovranno essere riconsegnati preservativi e reggicalze e verranno immediatamente assegnati i voti. La commissione sorveglierà il corretto svolgimento della prova e chiunque venga sorpreso a copiare verrà immediatamente espulso. Consegnate i cellulari, prego.

Sarei anche molto curiosa di vedere - una volta stabilito che può sposarsi solo chi qualcun altro ha deciso che lo fa solo ed esclusivamente per sincero e puro amore - come se la caverebbero tutte le signorine che si dannano per sposare divetti o calciatori o anziani magnati facoltosi, o tutti quei giovanotti che della promessa sposa non si ricordano affatto il nome ma molto bene la taglia di reggiseno.

Secondo. Il fatto che si trovi orripilante il sospetto che qualcuno possa darsi un gran da fare, con ogni mezzo, per procurarsi un permesso di soggiorno mi lascia del tutto interdetta.
Dato che si era detto che ci facevano paura e ribrezzo i clandestini - che per il solo fatto di esserlo saranno sicuramente anche un po' delinquentelli, almeno un po' - dovrebbe riempirci di gioia questo commovente desiderio di volersi regolarizzare.
Ostinatamente, fervidamente, ad ogni costo, superando tutte le migliaia di ostacoli e trabocchetti e trappole insidiose che gli abbiamo messo sul cammino.
Che stupisce davvero che non siano ancora usciti tutti insieme dai cantieri e dai locali lavanderia, dai campi di pomodoro e dai capezzali delle nonne per andare semplicemente a dire: se non ci volete clandestini regolarizzateci, occazzo.
Per ogni infido e torvo clandestino che brama un permesso di soggiorno dovremmo stappare una bottiglia: un'irregolare in meno, che bello.
E quanto meno pagargli noi i confetti.
Viva gli sposi.


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venerdì, 09 maggio 2008

Mi sono sentita un po' nonno Nanni, oggi. Perché il nonno Nanni ogni primavera riverniciava le imposte della casa sul lago di verde.
Dapprincipio era un signorile colore scuro, il sobrio e novecentesco verde vagone di tutte le case che si affacciano su tutti i laghi.
Poi però la sua scelta ha deviato man mano verso tonalità sempre più squillanti. Forse man mano che gli calava la vista aveva bisogno di colori più accesi, o forse semplicemente gli era virato il gusto sullo sgargiante. Negli ultimi anni le imposte dopo essere passate dall'erba al veronese allo smeraldo erano di un abbacinante verde menta, che inorridiva nonna mamma e zia e piaceva moltissimo a noi bambini perché veniva voglia di leccarle come un ghiacciolo, così lustre.

Ma il fatto è che Nanni una volta dipinte le imposte non si fermava. Dal momento che di vernice ne era avanzata, col pennello e il barattolo in mano colorava di verde tutto quanto gli sembrasse bisognoso di una rinfrescata. O anche solo quello che per combinazione si trovava lì nei pressi. 
La ringhiera del terrazzo, i montanti del pergolato, il balconcino. Ma anche il corrimano delle scale, il sostegno dell'antenna tv e anche un po' l'antenna, il grosso. La panchina sotto il tasso, lo stendibiancheria della nonna, l'altalena, il tavolino del caffè, il monopattino, il rubinetto della canna, una vecchia brocca di alluminio, il cancello, il campanello, la serratura e la chiave.

Così oggi, dopo aver verniciato il muro del bancone della cucina ho guardato il barattolo e ho visto che di vernice ce n'era ancora parecchia. E ho verniciato il calorifero della cucina, che era lì a un passo. Poi quello del soggiorno appena più in là, e poi l'altro dell'ingresso, che se no si vedeva la differenza. E le relative finestre con gli infissi, che a quel punto stonavano con il resto così bello bianco.

Mentre in cima alla scala mi allungavo come un serpente per arrivare allo stipite in alto senza cadere giù in cortile pensavo che l'esercizio serve, e anche la ginnastica e il tango, perché sono molto più capace di distribuire i pesi e di organizzarmi l'equilibrio. E quasi non mi fa più paura la scala, e forse un giorno mi passeranno anche le vertigini e potrò andare in montagna anche su quelle alte.

Mentre verniciavo il calorifero della cucina accucciata sui talloni pensavo alle banche, e perché una volta accertato che sei in grado di renderli e essersi procurate ogni garanzia che lo farai, ti devono chiedere per cosa userai i soldi che ti prestano. Perché poi se dici che devi comprare un'automobile va bene, se vuoi comprare una macchina volante di fil di ferro garza e piume non va, come se le macchine volanti fossero di per sé segno di insolvibilità, parecchio più di un Suv.

Mentre passavo il pennello sull'anta sinistra pensavo al dono di un germoglio di patata e di un vaso con un cespo di violette di bosco, bianche.

Mentre dipingevo lo stipite destro schiacciando il pennello forte poi sempre più leggero pensavo che nonostante il giornale stavo sgocciolando in giro. E che proprio non c'è modo, per quanto si stia attenti, di non fare almeno un po' di danno quando si fa qualcosa. Che qualsiasi cosa tu faccia poi devi un po' sistemare e ripulire, almeno un po'.

Mentre mi concentravo sui dettagli della finestra, proprio vicino al vetro, pensavo a com'è cattivo Tom Waits quando dice Don't care to miss me, I never remebre the names, e ho fatto ripartire la canzone. Ho macchiato di bianco il tastino, ma ci penserò poi.

Mentre andavo via bene, la vernice diluita perfettamente al punto giusto sull'infisso sinistro, pensavo ai gelati, ai pistacchi turchi e alle mandorle, e anche ai mandorli, ai diagrammi di flusso e ai colori delle spezie.

Mentre ritoccavo il bordo in basso pensavo che la prossima volta che di notte ti affaccerai a questa finestra, come ieri, sarà tutta lustra e bianca. Che bello.

Mentre rifinivo con pennellate lente e precise l'intorno della maniglia pensavo che devo ancora fare tutto il cambio di stagione e che ogni volta trabocco di contentezza quando è ora dei vestiti dell'estate,  poi tra una cosa e l'altra devo stirare quaranta metri cubi di biancheria assortita, ma non adesso.

Mentre mescolavo l'acquaragia che c'è scritto che è inodore e non lo è affatto ma comunque sa un po' di pino e mi piace, pensavo se bastavano le sigarette per arrivare a quando dopo aver finito tutto ed essermi lavata e tolta anche quelle due grosse gocce dai capelli avrei potuto, presentabile, scendere a comprarle e ho stabilito che sì.

Mentre mi affacciavo pericolosamente per verniciare il punto più esterno, in alto, pensavo che avevo il sole negli occhi e che non bisognerebbe mai accingersi a qualcosa quando si è abbagliati, ma è così tanto bello che magari fare cose senza vederne con precisione i contorni e i confini perché un po' tutto ti sfolgora intorno forse viene anche meglio, chissà.

Poi è finita la vernice. E sono andata a bere del vino bianco sul terrazzo.

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mercoledì, 07 maggio 2008

Bene. La settimana si va concludendo com'è iniziata, sotto la lampeggiante insegna della Legge di Murphy. Ma poiché questo bel sole induce a uno sconfinato ottimismo, sono certa che la prossima sarà sotto l'egida della Legge di Sphera:
Se qualcosa può andar bene, in alcuni casi  - se ci credi con tutta l'anima e il cuore, ti ci impegni a fondo sbattendoti forsennatamente notte e giorno e sei straordinariamente fortunato - è possibile che in circostanze particolarmente favorevoli possa andare parzialmente benino.





(e difatti prima, quando sono uscita appena prima che il sole si accovacciasse dietro la collina che sta già diventando tutta bianca di robinie, i batuffoli di polline volavano raggianti e il grillotalpa che tagliava l'erba fabbricava un buon odore, assieme alle rose che esplodono grasse fuori da ogni orto.
E il muro della cascina scintillava di infinitesimi lustrini. Li facevano coi minerali gli intonaci, e sono rocce vive, non scatolini di plastica albicocca.)

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lunedì, 05 maggio 2008

A un capo c'è la tenacia, che è una virtù. All'altro la testardaggine, che è un difetto. 
L'elastico tra i due deve rimanere ottimamente teso, altrimenti la fionda tira da schifo.
Quando senti che si lascia andare, che si allenta, se sei di buon umore fai leva sulla virtù: Dai che va tutto bene, tira forte, ancora un momento tieni duro e vedrai che ce l'hai bell'e fatta. E continua a sorridere che fai più forza, proprio così, sì.
Se sei di malumore punta sul difetto: Assì, pensi che basti questo? Adesso ti faccio vedere che non è così facile: io il mio capo della corda non lo mollo, a costo di tenerlo tra gli incisivi e di rompermi l'ultima unghia intatta, quella a cui avevo dato lo smalto così bene. Poi vediamo chi vince, vieni qui che vediamo.
È molto conveniente avere per ogni virtù un corrispondente gran difetto: magari il sasso non andrà lontano, ma almeno hai un attrezzo per lanciarlo.


(l'arcobaleno di stasera, mentre da una parte rimbombavano con gran fracasso i tuoni e dall'altra faceva lo scemo il sole, è un altro genere di elastico o forse lo stesso: nero di pioggia e e bianco di luce e in mezzo, lanciati in aria, tutti quanti i possibili colori.)

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giovedì 29 dicembre 2011

Aprile 2008

martedì, 29 aprile 2008

C'è una differenza tra una selva, una foresta e un bosco. Per forza, se no non ci sarebbero tre diverse parole.
Però non è facile capirla standoci dentro. E nemmeno da lontano, da una collina molto in là.
Ci dev'essere una precisa distanza allora, intermedia ma forse non a metà strada, da cui si capisce come va chiamata esattamente.
I nomi delle cose sono questione di centimetri.

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domenica, 27 aprile 2008

Timo, rucola, iris, ciliegio, basilico, nepitella, tulipano, rosmarino, menta, pervinca, rucola, peperoncino, prezzemolo, ortensia, rosa rosa, rosa rosa, fico, pervinca, pervinca, ortensia, rosa gialla, piracanta, geranietto tappezzante, falso gelsomino, iris, belladinotte, giglio di san giovanni, rosa rampicante bianca, peperone, nasturzio, bella di notte, oleandro bianco, salvia montana, ranuncolo, prezzemolo, gelsomino, nasturzio, rosa rampicante bianca, cosmea, basilico, salvia a foglia grande, origano, maggiorana, basilico rosso, pomodoro ciliegino, nasturzio, falso gelsomino, pervinca, acetosella, pomodoro ciliegino, rosa arancione, cosmea, anemone, malva, glicine, pervinca, nasturzio, mirtillo gigante, melo, pervinca, rucola, aglio, nasturzio, rosa bianca, prezzemolo, rosmarino, abete, pervinca, melograno, pervinca, belladinotte, biancospino, pomodoro ciliegino, peperoncino, ulivo, lavanda, peperone, zucchina, basilico, zucca, peperone, melanzana, aglio, cipolla, scalogno, cicoria, uva bianca, uva bianca moscatella, basilico limone, tulipano, lattughino, uva nera, lattughino, tulipano, margherita, alloro, menta piperita, noce, violetta, erba cipollina, nontiscordardime, cedrina, dragoncello, lantana, geranio odoroso, geranio odoroso, basilico rosso, basilico limone, peperoncino, finocchietto selvatico, zucca, basilico anice, geranio odoroso.

Gertrude Jekyll raccomandava: "piantare fitto."
Io pianto fitto, e sto pensando di comprare una trentina di metri d'orto, che qui manca lo spazio. Magari anche un paio di galline, un tacchino e un bidone grande con le anguille dentro.

Poi la vita: è folta.

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domenica, 20 aprile 2008



C'è una volta quando senti odor di foglie, ed è iniziato l'autunno. Poi c'è una volta quando senti odor di erba, e comincia la primavera. E anche se faceva freddo era stasera.
Era stasera, quando sono scesa a comprare le sigarette alla Rosa Blu, la pizzeria sulla statale dove si va quando sono finite ed è già tardi.
Svoltando sullo stradone nel soffio dei camion, entrando in una disperata luce gialla dove la prima cosa che vedi è la gamba gonfia di qualcuno con un calzetto bianco ben tirato e un mocassino che sporge dal primo tavolo a destra, quasi sulla porta.
E dove ti vende le sigarette un signore tarchiato e desolato in canottiera e parannanza tutto l'anno, bianche ma non davvero bianche, mai. Perché il forno a legna è proprio lì dietro al banco, e lui è sempre sudato e attonito, estate e inverno, e si muove lento come una medusa. Sotto le sopracciglia unite da un triangolo di baffo umido gli occhi non ti guardano mai, mai a fuoco, mai davvero bene.
Ondeggia adagissimo e tu gli racconti il resto che ti deve con fare discorsivo, e finché non glielo dici che gli hai dato dieci sicché fanno cinqueeuroettoanta, resta lì vago sul cassetto della cassa aperto, le dita incerte, il pelo delle spalle imperlato di sudore.
E la sua moglie testardamente sorridente e disperatamente tinta in biondo prende in mano la situazione, e le monete. E ti dice ciao bella con tanto affetto che pensi ti salverebbe la vita a prezzo della sua, nel caso, mentre già un po' distratta porta un trancio discutibile a un tavolo di pensionati astiosi, che non la ringraziano e non rispondono al tuo buonasera. Slitta con le sue anche fiorate nella luce gialla, non hanno acceso tutte le luci stasera, solo quelle della sala piccola. E la rosa blu ticchetta e sfrigola civetta, fuori, addosso al respiro dei camion che sventolano lembi di carta e padane utilitarie.
Che odore di erba c'è, mammamia.


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mercoledì, 16 aprile 2008



Intanto, la cavalletta.


Locuste al momento non ve ne posso mostrare. Probabilmente sono tutte rimpiattate con le antenne ben avvolte intorno ad aspettare che spiova.
Però c'è questa cavalletta, intanto. Che non è una cavalletta, ma il suo simulacro: il suo fantasma, magari. È quello che è una cavalletta in mancanza della cavalletta.
È anche l'esatto opposto dell'oca wireframe di qualche tempo fa: quella solo nervatura e struttura, questa solo involucro. E pensa, mi piacciono moltissimo tutte e due: l'oca senza oca intorno, la cavalletta senza cavalletta dentro.
Probabilmente è quello che sta tra le due, che è il difficile.

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venerdì, 11 aprile 2008

Però il sotterraneo potrebbe essere anche progettato, oltre che per seppellirci la moglie, per custodire i fucili.
Perché qualche milione di fucili occupa in effetti un bello spazio e le massaie del guerresco popolo padano, così amanti dell’ordine e della pulizia da tagliare i ciliegi perché i loro leggiadri, delicati petali “fanno giù sporco”, presumibilmente non vogliono doppiette accatastate a rigare i comò o spingarde ammonticchiate sulle ottomane.
Si era anche parlato di cannoni, se non erro, e quelli certo non li puoi infilare nel sottolavello.
Il vicino, della cui padana fierezza si sono già avute orgogliose rivendicazioni, sta scavando una polveriera, una casamatta sotterranea. E una notte o l’altra delle prossime vedrò furtivi pedemontani in assetto di guerra stiparci dentro milioni di fucili, e carabine e colubrine, e mortai e schioppi, e casse di pallettoni e barili di polvere da sparo.
Dovrò stare attenta, prossimamente, a spegnere le sigarette nel cortile.

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