mercoledì 11 gennaio 2012

Ottobre 2011

mercoledì, 26 ottobre 2011


Non li voglio, i fiorellini. E nemmeno i pupazzini. Le grechine. Gli orsetti. Detesto tutto questo ornare cose che non hanno nessun bisogno di essere ornate. Perché mai devo avere dei fiori sulla carta igienica? Perché la carta da cucina deve avere fiocchetti e pentolini? Io le voglio bianche. Per favore.
Perché non è vero che le cose decorate sono più carine. Sono più brutte. Ma molto più brutte, molto.
L'ornato è una cosa seria, una cosa difficile, costosa, impegnativa, laboriosa. Altrimenti è una porcheria.
L'ornato è l'Alhambra, è William Morris, è gli azulejos e Wedgwood e Lalique, è gli arazzi medievali e i kilim. È, piuttosto, i ghirigori di tuo figlio col pastello. Qualcosa disegnato con in mente la bellezza, e realizzato con delizia e cura. Qualcosa che ti fa felici gli occhi.
Non un guazzabuglio triste e casuale di stupidaggini riprodotte malamente.
Tu non ti accorgi, ma nella tua bella cucina tutta linda si affollano i fiori approssimati della tovaglia rosa, le geometrie giallo e marrone degli strofinacci, gli uccelli verdini del rotolo di carta, i quadretti azzurri dei tovagliolini, i cuori rossi e le greche imprecise del barattoli, le foglie nocciola sulle piastrelle beige, le margherite stampigliate in arancio sopra i piatti, le campanule turchine dell'insalatiera, le padelle e le pannocchie sulle presine, sghembe.
Si affollano e ti frastornano gli occhi, come un frastuono di rumori stupidi.
Perché non è vero che non è importante quello che ti vedi intorno: non ci fai caso ma ti abitui un po' per volta a tante piccole inutili bruttezze. Così ci siamo assuefatti al dozzinale, al tirato via, allo stampato in qualche modo, al simulacro di fiore, all'elefantino come lo disegna suor Giuliana, al quadrettato di colori a caso.
Se non possiamo permetterci piastrelle decorate bene, allora siano bianche, santo cielo. O azzurre, o verdi, o nere. Ma quei bambù marroni, quegli aborti di glicini e di rose, poi li vedi tutti i giorni, sai. Le prime cose che vedi ogni mattina sono volgari, sconsolate e brutte.
Io sogno da anni un negozio che venda le cose di ogni giorno, quelle basiche, le calze e le tazze, gli strofinacci e le magliette, i tovaglioli e le mutande, i barattoli e la carta igienica e le tende e le piastrelle, che le venda bianche, bianche e basta.
Perché l'inquinamento delle piccole cose è un altro genere di lupatoto, che un po' ogni giorno ti avvelena di trascuratezza, di minimi orrori che non ti accorgi di vedere.



Non avere nella tua casa nulla che tu non sappia utile, o che non creda bello. 
(William Morris, La bellezza della vita)


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lunedì, 24 ottobre 2011

C'è un gioco che faccio, ogni mattina. È quello di bere il caffè, tazza grande un biscotto una sigaretta, seduta sul gradinetto della portafinestra in cucina.
Lo faccio da molti anni, d'estate e d'inverno, con la luce e nel buio gelato, con il sole e la pioggia e la neve, in camicina o avvolta in giaccone e cappuccio. Il gioco è proprio questo, farlo ogni mattina anche quando hai sonno o fa freddo. Non serve a niente, non significa niente, a volte è piuttosto rognoso, ma il gioco è di guardarle in faccia e sentirle addosso, tutte le mattine del mondo. Per il solo motivo che hai deciso così.
Ne faccio anche altri, parecchi.
Come quello di scegliere un punto e vedere se le porte del treno ti si fermano proprio davanti.
Come quello di scommettere, al bar, che quella tipa tutta rigida di consapevolezza e vestiti non prenderà un caffè, ma una di quelle cose noiose come UndecaffeinatomacchiatoMamacchiatopocoSenzaschiumatiepido. Econunpo'di cacao.
Come quello di dare al criceto tenendoli tra le dita ogni volta esattamente tre semi di girasole, per vedere quanto tempo ci mette ad imparare a contare.
Come quello di far andare random la musica e vedere quante volte sceglie proprio le canzoni che si adattano a quella luce, a quell'ora, a come ti senti, e vedere quanto spesso ci azzecca.
Come quello di far venire il nervoso ai leghisti dando un euro alla zingarella fuori dal supermercato.
Come quello di guardare dentro le finestre, dal treno, e immaginare la vita che c'è.
Tutti ne facciamo di giochi, almeno credo. I giochi non servono a niente, solo a farti giocare.

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venerdì, 21 ottobre 2011

Ecco, questa cosa del sangue. Mi stupisce sempre la gente che in tv e sui giornali si abbevera di fiumi di sangue, di morti ammazzati veri e finti, di cadaveri realmente massacrati e di quelli impiastricciati di colorante rosso, di schizzi che imbrattano i muri, di scie sul pavimento, di esplosioni di teste, di pozze che si allargano sotto persone disarticolate a terra, di dita che frugano frattaglie sui tavoli da autopsia. E poi dicono che loro a fare l'esame del sangue svengono. Perché sono sensibili, proprio non sopportano.
Quelli che no, non so pulire un pollo, non l'ho mai fatto, ma dio che impressione, che raccapriccio, morirei.
Quelli che oddio ti sei tagliato, oddio guarda c'è il sangue, un cerotto, no non ce la faccio ad andare a prenderti un cerotto, devo sedermi, mammamia che senso.
Quelli che ma davvero peschi, ma come fai, ma prendi i vermi con le dita, ma davvero, dio io non potrei mai, ma poi il pesce lo uccidi?
Quelli che guarda fammi fare tutto ma non medicare una ferita, giuro non ce la faccio, il sangue, mi sento male, solo il pensiero, guarda.
Mammamia, quanto siamo distanti dalla vita.

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mercoledì, 19 ottobre 2011

A me piace fare la spesa al supermercato.
Mi piace che non ci sia mai la temperatura giusta. Mi piace che abbia luci troppo bianche.
Mi piace prendere la frutta e la verdura senza il guantino, perché non credo affatto che chi l'ha colta, caricata, scaricata e messa in esposizione avesse i guantini.
Mi piace vedere le vecchine, in due, che prendono le confezioni già pronte così non devono pesare alla bilancia e ricordarsi il numero e schiacciare tutti quei tasti.
Mi piace che i fruttini e i verdurini sulla bilancia siano messi in ordine alfabetico, ed essermene accorta dopo anni.
Mi piace vedere le famiglie che ci vanno al completo vestite della festa con le bambine con la vestina a gale, e quelli che ci vanno in tuta e ciabatte come se stessero andando al cesso.
Mii piace guardare i prezzi al chilo e al litro e confrontarli con il volume della confezione e avere ogni volta un sacco di sorprese.
Mi piacciono i signori che ci vanno con la lista della spesa scritta dalla moglie.
Mi piace comprare l'olio extravergine comunitario, perché gli uliveti in Spagna e Grecia li ho visti e sono molto belli, e quelli che comprano "solo italiano" mi fanno ridere abbastanza tanto.
Mi piacciono i pensionati che fanno man mano il conto, perché lo faccio anch'io.
Mi piace prendere le cose dagli scaffali più bassi che non guarda mai nessuno, come il vetril quello nel flacone azzurro che spruzza senza spray.
Mi piace rispondere che no, non ho la tessera e non la voglio, grazie.
Mi piace regalare i punti omaggio alla signora che vien dopo, tutta contenta.
Mi piacciono le coppie appena formate, che fanno circospette mediazioni sull'acquisto di ogni prodotto.
Mi piacciono i ragazzetti che entrano in sei in un supermercato immenso e escono con una lattina di cocacola.
Mi piacciono i bambini piccoli seduti sul seggiolino che senza farsene accorgere prendono cose a caso dagli scaffali e le buttano nel carrello.
Mi piace calcolare quanti sacchetti serviranno, e adesso è più difficile perché oltre al volume devi calcolare il peso, se no i sacchetti flosci si biodegradano già prima della porta.
Mi piace guardare cosa ha preso la gente che viene prima e dopo di me nella fila, e pensare che questo diventerà obeso e quella invece ha la smania dell'igiene.
Mi piace quello che vede cosa prendi e rimette sullo scaffale quel che aveva preso e prende lo stesso che hai preso tu.
Mi piace che al supermercato i conoscenti li puoi salutare con un cenno, mentre al mercato ci devi chiaccherare.

Mi piacerebbe di più il mercato, naturalmente, ma se fosse vero. Se il fruttivendolo prende il furgone e va a comprare all'Ortomercato, assieme a tutti gli altri, allora tanto vale il supermarket. Anzi, se la merce viene consegnata direttamente a loro alla fin fine è una filiera più corta, quella.
Sono quasi tutti finti, i mercati ormai. Come i - pochi - negozi di quartiere: se il macellaio non macella, il panettiere non panifica e l'ortolano non ha l'orto è inutile giocare a quello che non va al supermercato.

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martedì, 18 ottobre 2011

Perché un altro dei condizionamenti ipnopedici che ci hanno inculcato è quello che “La critica deve essere costruttiva. Che proposte hai? Nessuna? Allora non parlare.”
E mi ha un po’ stufato, anche questa solfa.
Perché non sta scritto da nessuna parte che devo conoscere tutte le implicazioni dell’uso dell’acido acetilsalicilico per poter dire che ho mal di testa.
Perché non devo necessariamente aver vinto Hell’s Kitchen per avere il diritto di dire che questa pasta fa schifo.
Perché non ho bisogno di saper fare una analisi approfondita e rigorosa delle tematiche dell’economia postmoderna, della finanza internazionale e del mercato del lavoro nella società globalizzata per dire che mi secca non avere i soldi per pagare le bollette.
Perché se per parlare è necessario essere in grado di formulare una proposta precisa, articolata e approfondita, allora di economia devono parlare solo gli economisti, di soldi solo i finanzieri, di politica solo i politici. Di lavoro solo sindacati e imprenditori. Di inquinamento gli scienziati. Di come si nasce e come si muore solo i medici. Di cucina gli chef. Di verde pubblico gli urbanisti. Di infanzia i bambini. Di letteratura gli scrittori, di giornalismo i giornalisti. Di scuola gli insegnanti, di sesso le puttane, di vecchiette le badanti.
Mi siedo sul terrazzo, ecco, e sento che proposte vogliono da me le piante di pomodoro e il gatto.

Postato da: sphera a 10:51 | link | commenti (5)


domenica, 16 ottobre 2011

Siamo contro la violenza, va bene. Su questo tutti d'accordo, dai.
Diventa persino un po' stucchevole e barocco continuare a dirlo e ripeterlo "Ah, anch'io" "Ma anch'io, ci mancherebbe". Tutti d'accordo, va bene.
Detto questo, io mi sento sempre più a disagio nel sentire parlare di cortei e manifestazioni in termini di Una bellissima festa, tanta gente colorata e allegra che sfilava pacificamente, cantando. Più che una protesta, una scampagnata: tanti cartelli e strisconi, si, ma mamme e bambini, e cori e colori. Cosi vanno bene, le proteste, cosi van fatte.
E sfido. A chi mai può dar fastido un gruppone di gente, anche fosse moltissima, che passeggia al sole?

Ma che bravi, vedi, come protestano bene, come sono educati, carini, allegri.
Che dolci.

Magari sbaglierò, ma non riesco a non pensare che una protesta debba dare FASTIDIO.
Debba disturbare, debba mettere in difficoltà qualcuno, debba essere in qualche modo un problema.
Che venga graziosamente concesso di esprimere protesta purché nessuno protesti troppo, rabbia purché nessuno si mostri troppo arrabbiato, purché nessuno faccia troppo rumore, purché si lasci tutto pulito, purché nessuno rimanga turbato: ecco, a me inizia a sembrare un imbroglio.

Proibire una manifestazione creerebbe un sacco di problemi, va a sapere poi cosa gli verrebbe in mente, che la facciano la manifestazione, poverini, han bisogno anche loro un po' di svago, un po' di sfogo.
Purché, naturalmente, si abituino a pensare che una manifestazione ben riuscita è quella che farebbero Heidi e Hello Kitty, una cosa tenera e canterina, un corteo di Hobbit che lanciano fiori nel dolce sole d'autunno.

Non voglio, sia chiaro, non voglio che nessuno si faccia male, non voglio che sia distrutto o  bruciato niente.
Però bisognerà pur trovare una maniera per far sì che una protesta torni ad essere una protesta: giusta, forte ed EFFICACE.
Perché se le città sono accondiscendenti e liete, se i governanti sono benevoli, tranquilli e persino inteneriti, sbaglierò ma a me qualcosa non torna più.

Tocca inventare qualcosa, io credo. Non so cosa, ma magari bisognerebbe povarci. Magari un sit in che blocchi tutto, magari liberare per le strade un milione di rane, magari versare bidoni di tempera gialla e verde e blu - lavabile per carità, ma sai il fastidio - magari solo le biglie come in Animal House. Non so. Forse ai ragazzi, ai più giovani e freschi, verrà in mente qualcosa. Spero.

Perché riunire mezzo milione di persone incazzate ed essere fieri di come tutto sia stato bello e riuscito bene, avendo ottenuto tre inquadrature di palloncini colorati e bei faccini a me sembra una truffa. Un po' come i Massì tesoro va bene, fai pure il piercing, è giusto che i giovani si sentano protestatari, però non troppo grosso. E lava le mani, e dì buongiorno alla signora, e non tenere la musica troppo alta in camera.

Finchè il modo in cui si protesta dovrà essere approvato sorridendo da coloro contro cui si protesta, mi spiace, a me continuerà a non tornare il conto.


Postato da: sphera a 16:37 | link | commenti (17)



martedì, 11 ottobre 2011

- Perché tu, oltre che bello, sei anche buono.
- Ahahahahah, ma dai... non è vero!
- Sì che è vero.
- Ma smettila, dai. E poi cosa intendi per "buono"?
- Buono: che non fai male a nessuno volontariamente, che se appena puoi fai bene a qualcuno deliberatamente. Buono. Dai, accidenti, sai benissimo cosa vuol dire: non te l'ha mai detto tua mamma, tua nonna "Sii buono"? E lo sapevi cosa intendevano, no?
- Sì, ma. Ma erano almeno trentacinque anni che non ne sentivo parlare. E poi, non so...

Ecco, appunto.
Quando è stata l'ultima volta che avete detto a qualcuno che era buono senza avere la vaga sensazione di offenderlo?
Non si dice più Sii buono. Si dice Fai il bravo. Che è una cosa molto diversa, mi pare: un modo di comportarsi, non un modo di essere. Si può essere perfidi, e comportarsi molto bene.
E, soprattutto, è vagamente insultante: buono fa pensare a qualcuno un po' stupidotto, un ingenuone, uno sprovveduto, un candido, un mite forse un po' vigliacco.
O, peggio, a un paolotto, uno che va a messa e aiuta il don all'oratorio, uno che non dice le parolacce, non si masturba e non si interessa di politica.
Uno di quelli di cui mia nonna avrebbe detto È un po' un SanQuintino.
Ora se si pensa a una persona buona viene più o meno in mente uno pallido e un po' bisinfio, con grossi occhiali e andatura lenta, che mette via i sacchi del supermercato ben piegati e mai darebbe, mai, un pugno a qualcuno.
Qualcuno che fa melense opere di bene e non se ne intende di tecnologia. Qualcuno non molto interessato al sesso.
Di uno strafigo colto, abbronzato e muscoloso, di una bella donna tutta intelligenza e gambe, di un ragazzetto tatuato coi capelli in piedi e i jeans sotto le chiappe non ti verrebbe da dire È una persona buona. Eppure, perché no?
Eppure, no. Non si dice più. Sono anni che sento dire solo "No, sai, XXXX è davvero una bella persona".
Come se la bontà si fosse trasformata in un'attributo estetico dell'anima.

Non dico che sia giusto o sbagliato, non lo so. Solo, mi domando quando.
Quando è stato che abbiamo iniziato a usare questi giri di parole, questi strani eufemismi? Quando è successo che la bontà è diventata una cosa leggermente vergognosa?



(ad esempio io mi vergogno un po', a pubblicare questo post.)



Postato da: sphera a 08:08 | link | commenti (7)



venerdì, 07 ottobre 2011

Quest'estate ho avuto paura delle stelle. Qui non ce ne sono quasi più, naturalmente, ma lì ce n'erano tantissime, più di quante abbia mai visto, e nonostante ne cadesse qualcuna ce n'era ancora un firmamento di milioni. E mentre le guardavo ne vedevo sempre di più: la via lattea fatta di oggetti e non di luce.
Così, invece di chiudere gli occhi e girarmi su un fianco per dormire, ho deciso di addormentarmi ad occhi aperti. Supina, a tre metri dal mare, volevo tenere gli occhi spalancati sulle stelle e lasciare che a un certo punto si chiudessero da soli.
Ma quando iniziavo a scivolare nel sonno, e tutto si sfuocava e diventava buio, all'improvviso - forse un rumore di onda, forse un soffio d'aria - ritornavo di colpo, in un istante, sveglia.
E in quell'istante lì, come in una messa a fuoco di velocità sbalorditiva, rivedevo le stelle, tutte e una a una, che mi esplodevano negli occhi tutte insieme. Arrivavano di colpo, ed erano miliardi.
Ho dormito pochissimo, perché continuavo a rivedere il big bang. E ho avuto paura: l'universo era vivo e mi guardava.




Perché mi è venuto in mente adesso? Non lo so.

Postato da: sphera a 09:49 | link | commenti (5)

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