sabato 15 dicembre 2012

Fino alla fine del mondo - 2 -

Il primo sorso di caffè come al solito la disgustò. Vedrai che poi – dopo un po’ - ti piace, le avevano detto. Vedrai che poi finisce che non riesci più a berlo con lo zucchero, che ti fa schifo. E sai quante calorie in meno: fai quattro caffè al giorno, ma fai anche cinque, due cucchiaini ogni volta e fai un chilo al mese come niente. In effetti dopo il primo sorso gli altri erano meglio, si lasciavano bere, dopotutto. E quei tre chili voleva a tutti i costi buttarli giù entro l’estate. Vero che mancavano più di sei mesi ma quest’anno voleva muoversi per tempo, basta con le diete folli dell’ultimo mese, una cosa graduale. E tanto movimento. Aveva una gran voglia di un biscotto, ma no. Davanti alla finestra buia, la tazza in una mano, si passò l’altra sulla pancia. Era già più piatta, davvero. Le piaceva bere il caffè davanti alla finestra, vedere arrivare l’alba, indovinare dalle nuvole che tempo avrebbe fatto. Le piacevano quei minuti di fermo silenzio prima di tutto lo sbattere e il frastornare della giornata, sempre così lunga e così breve. I tetti delle case erano ben disegnati, adesso, sulla striscia viola all’orizzonte e il cielo da nero si faceva blu, limpido come inchiostro. Aggrottò la fronte. Quel chiarore viola, porpora e ora già rosa acceso non doveva essere lì. Quello era il nord, non l’est. Sei rincoglionita, pensò. Sei mezza addormentata, dai. Eppure no. Si girò un attimo a guardare la cucina, si pizzicò – piuttosto forte – un orecchio con le dita. Era sveglia, senza dubbio. E da dieci anni aveva guardato ogni giorno spuntare il giorno in quella casa e sempre il sole era sorto dietro il condominio giallo o al più, a seconda della stagione, dietro il capannone dell’autolavaggio. Ma lì il cielo era appena turchino, ora, e sfolgorava di arancione dietro le villette. A nord. Si portò la tazza alla bocca ma dovette fare uno sforzo disperato per riuscire ad inghiottire. Il sangue le pulsava nelle tempie, non è possibile, pensava, non può essere possibile, il sole sorge a est, da sempre. Da sempre sorge dietro il condominio. Girò lo sguardo con cautela, senza quasi muovere la testa: sembrava tutto a posto, tutto tranquillo, quieto e silenzioso. Un autobus passò veloce, vuoto e illuminato. Il mare era molto lontano da lì, non poteva sentire il rumore delle onde che si alzavano veloci, che avanzavano rombando mentre il ghiaccio dei poli si scioglieva, liquefacendo rapidissimo al sole equatoriale. Non poteva sentire il blizzard schiantarsi contro inaspettate fronde di palme e baobab, né il rumore di schianto con cui il Rio delle Amazzoni si congelò di colpo, imprigionando nel ghiaccio coccodrilli stupefatti e bocche spalancate di pirañhas. Ma gli uccelli li vide, immobile davanti alla finestra, la tazza abbandonata tra le dita che aveva smesso da ore di gocciolare caffè freddo e amaro. Gli uccelli si muovono in fretta e lei li vide, stagliati contro quell’impossibile rosso vermiglio tramonto a oriente: prima radi poi a stormi sempre più compatti, riempivano il cielo a migliaia, a milioni, fenicotteri e gru, e avvoltoi e ara e colibrì. E sgargianti immense nubi gialle e verdi, quell’insostenibile frastuono che fanno i pappagalli.

2 commenti:

  1. appesi.
    come ad ogni dannato cliffhanger.
    (un grande impatto visivo. sarebbe una bella serie)

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  2. Boh!
    S*
    ciao..io intanto qua sento più freddo!

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