lunedì 18 febbraio 2013

Il gioco del manicheo.


Ho capito perché mi piace così poco l'inverno. Non è tanto il freddo, non è tanto la mancanza di luce. È che si fa una immensa fatica a vedere qualcosa di bello, o anche soltanto qualcosa che non sia brutto.
D'estate le chiome degli alberi nascondono quei capannoni là in fondo, i rampicanti ingentiliscono le facciate di intonaco plastico, un fiore di tarassaco riesce a spuntare anche nell'angolo tra un marciapiede e una cacca di cane. Ma d'inverno di bello c'è solo, qualche volta, il cielo. Per il resto il lupatoto è grigio, crudo, sporco di fango e neve appassita. Per guardare qualcosa di bello devi prendere un libro, andarlo a cercare.
Io sono un po' preoccupata per quanto trascuriamo la bellezza, come se fosse un lusso, una mollezza, come se fosse una cosa di cui si può - senza conseguenze - fare anche a meno.
E sono preoccupata perché a me sembra che sia la prima volta nella storia dell'uomo che la bellezza viene del tutto ignorata.
Penso che ci sono persone, e sono tantissime, che ogni giorno si svegliano in una brutta stanza piena di mobili stupidamente brutti, in una brutta casa in una brutta strada. Escono, vanno al lavoro in un posto bruttino o non di rado orrendo, lavorano al fianco di gente con brutte facce desolate, malaticce, aggressive, frustrate. Poi tornano e guardano tutta la sera qualcosa di brutto in tv, o vanno in un brutto bar a bere qualcosa da un brutto bicchiere scambiando brutte battute con gente cupa in brutti giubbetti.
Non per tutti è così, ma per molti, moltissimi, una moltitudine. Che vivono anni e vite intere senza vedere mai da vicino niente di bello.
Non dimentichiamoci che una volta c'era la natura. Chi non poteva permettersi di fare affrescare una stanza da Raffaello, o di vederla una volta che fosse affrescata, chi non poteva nemmeno guardarsi una vetrata o un arco rampante in una cattedrale, chi era troppo povero per permettersi un oggetto qualunque che fosse davvero bello poteva sempre guardare un tramonto sul mare, un'alba tra i boschi, un albero di ciliegio fiorito. 
Io credo che per migliaia di anni qualcosa di bello da guardare tutti, ma proprio tutti l'abbiano avuto. Ma la bruttezza totale che ci circonda adesso, quella crosta in cui ci siamo avviluppati di migliaia e milioni di oggetti brutti, cose brutte, edifici brutti, tutta questa mancanza di bellezza non può non farci male.

Io ti consiglio di fare un gioco. Le cose che vedi giudicale. Dì a te stesso - o anche a voce alta se vuoi - "Questo è bello. Questo è brutto. Questo è molto brutto". Sembra una cosa da niente, ma da quanto non lo fai? Da quando guardi quella casa lì ogni mattina e non dici, esplicitamente, deliberatamente: "Che brutta."?
Non devi trattenerti, non devi essere corretto, tollerante, possibilista. Devi essere manicheo, devi tagliare con la scure: esci di casa e ogni cosa che vedi giudicala. Senza vie di mezzo, senza pietà. L'incrocio con quel semaforo e la concessionaria? Brutto. La faccia di quel signore arcigno la banco del bar? Brutta. L'auto che ti ha appena sorpassato? Brutta. Le tendine di quella casa? Brutte. La tazzina del caffè? Molto brutta.
Puoi farlo. Hai il diritto di giudicare la bellezza del mondo, e forse anche un po' il dovere.

Perché adesso ti hanno inculcato questa faccenda del "mi piace" e tendi a pensare che via, è tutta questione di gusti. Che se una cosa a te non piace magari a un altro può piacere. Che non si può mai dire. Che ognuno la pensa a modo suo. Che la bellezza è negli occhi di chi guarda. Che non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace. 
Però non è vero. 
Non è bello ciò che piace: è bello ciò che è bello. 
E lo sai benissimo, se ci pensi. E se ti sembra di non essere sicuro di saperlo giudicare non importa, fallo lo stesso. Se ti hanno spaventato facendoti credere che solo qualcuno che ha studiato delle cose, che ha dei titoli, delle certificazioni, abbia la possibilità di capire e il diritto di dire se una cosa è brutta, fregatene. Non è vero. Tu sai benissimo cosa è bello e cosa non lo è. E puoi dirlo finché vuoi.
Esercitati, un po' ogni giorno: è importante. Perché di tutta questa bruttezza almeno che ci si accorga e la si chiami col suo nome. Non sai, non sai che soddisfazione.












venerdì 15 febbraio 2013



- Se non fossimo in due penserei di essere in un incubo.
- Negli incubi c'è sempre qualcuno messo lì apposta per farti pensare che non sia un incubo. Mi fai ancora più paura, così.
- Hai ragione, ho esagerato. Non è il caso di innervosirsi troppo. È solo una foresta dopotutto.


- Ma si può sapere chi sono, quei due? Da dove arrivano?
- Shhh, non farti sentire! E smettila di guardarli, poverini. Girati, su.
- Sì, ma comunque da dove arrivano? Cosa ci fanno qui?
- E chi lo sa. Magari li hanno mandati via. Poveretti, chissà da quanto tempo vagavano in giro, così...
- Li hanno cacciati via perché sono subnormali, vero?
- Non si dice così, su, non sta bene. Non sono molto intelligenti ma non è colpa loro. E non fanno del male a nessuno.
- Tutti i bambini li prendono in giro, guarda.
- Ti avevo detto di non guardarli. Perché li prendono in giro?
- Ahahahaha, non riescono... Non riescono a fare quel gioco che fanno sempre i bambini, quello di colpire i frutti rossi, guarda, non riescono! Persino i più piccoli ne colpiscono qualcuno: loro niente, sono proprio handicappati.
- Non si dice così, te l'ho già detto. E adesso girati. Poverini.

Un grido, improvviso, stentoreo, lacerante. 
Un secondo dopo non c'è più nessuno, tranne loro. Qualche foglia smossa plana lentamente dagli alberi.

- Ma dove sono andati tutti?
- Sono velocissimi... Non li ho neanche visti andare via, solo il lampo di un movimento... Senza un rumore, in un attimo. Ma cos'era quel grido?
- Non lo so... L'avranno fatto loro? O l'avrà fatto qualcun altro... qualcos'altro?
Si guardano intorno. Sono molto vicini, spalla a spalla, sentono ognuno il leggero tremare dell'altro.
- Mi sembra di avere sentito un rumore.
- Cosa? Dove?
- Lì, vicino a quella pianta, quell'albero, quello lì grosso.
- Il ronzio, dici?
- No, un... come frusciare, rumore di foglie forse. Ma quale ronzio?
- Non lo senti? Devono essere insetti. Credo.
- Adesso che lo dici lo sento, sì... Ma no, era un altro... Forse un serpente.
- Ma i serpenti fanno rumore? Io credevo di no...
- Ma che ne so! Non so, non so niente, non so che insetti sono, non so che alberi sono quelli, non so cosa ci facciamo qui e non so che rumore fa nessun cazzo di animale!
- Shhhh... Sei pazzo, non farti sentire. Può anche esserci un leone, un leopardo, una tigre... Cazzo. Ho paura.
- Scusa. Hai ragione, scusa, sono un po' agitato. Ma non preoccuparti, non c'è da aver paura, vedrai. Quelli sembravano amichevoli, dopo tutto. Ci hanno dato da mangiare, ci hanno messi assieme ai cuccioli... Non ci faranno del male. Non aver paura, stammi vicina, aspettiamo che tornino. 

- Ma perché non si muovono? Non hanno sentito l'allarme?
- E chi lo sa. Magari sono anche un po' sordi, poverini. Vedi, quel serpente è passato a tre passi da loro e non l'hanno neanche visto.
E poi hai visto come si muovono lenti? Forse stanno cercando di scappare ma ci mettono un sacco di tempo.
- Mh, sarà. Secondo me non sanno arrampicarsi sugli alberi.
- Probabile. Poveretti. Faranno una brutta fine se continuano a starsene fermi lì.
- Ma no, guarda, gli è andata bene: guarda là, si è spostato, si è messo a rincorrere quelle gazzelle. Che culo hanno avuto a essere sottovento. Su, vieni qui, che è ora di darsi una ripulita.

- Ho fame.
- Anch'io. Quei frutti lì saranno buoni? Si potranno mangiare?
- Non lo so... E se sono velenosi? Non mi ricordo se loro li hanno mangiati...
- Forse è meglio non provare. Forse quando torneranno ci daranno ancora qualcosa.
- Ma torneranno? Sono andati via così di corsa. E poi... quelle specie di noci che ci hanno dato erano buone ma, ma quella scimmietta rossa fatta a pezzi, miodio che orrore! Stavo per svenire...
- Beh, a modo loro sono stati gentili a offrirne a noi. Però quelle noci non le vedo in giro, chissà dove le avevano prese. Dobbiamo trovare qualcosa da mangiare ma non so cosa...
- Io non voglio allontanarmi da questa radura, non voglio entrare nella foresta, non voglio. E poi tra poco sarà buio... 
- Stai tranquilla, ora ci procuriamo dei bastoni, guarda. Tranquilla.

- Tra poco sarà buio. Perché non si arrampicano da qualche parte? 
- Non sono capaci, te l'ho detto. Anche scendere a dirglielo non servirebbe a niente: non capiscono, poverini, hai visto. Neanche le cose più semplici, neanche le filastrocche dei bambini capivano, neanche l'allarme hanno capito.
- Beh, se pensano di passare la notte lì, per terra così, beh... quelli in caccia stanotte faranno una bella cena. 
- Già, non arriveranno a domani mattina, povere creature. Un po' mi spiace... Sono anche carini, dai, così lisci e morbidi.
- Ma che morbidi. Sono molli. E grassi. Dove hanno i muscoli, dove? Quello più alto ci ha messo dieci minuti a spezzare un bastoncino che un cucciolo qualunque...
- Sei ben stronza, però. Non è mica colpa loro.
- E poi non ridono mai, non trombano mai. Oltre che handicappati sono anche noiosi.

- Dio com'è buio. Ho paura.
- Tranquilla, vedrai che ce la caveremo. Gli esseri umani sono più intelligenti di tutti, lo sai. Ce la caveremo.

- Ecco, ancora quel ciuffetto dietro al collo e ho finito. È ora di dormire ormai. Li vedi ancora?
- Sì, sono sempre lì. Con in mano uno stecchino. Non resterà molto di loro, domattina. Mi domando come facciano a non sentire i cacciatori arrivare, sono piuttosto vicini adesso.
- Nemmeno se gli ruggissero nelle orecchie li sentirebbero, mi sa. E poi comunque... guardali, hanno dentini da lucertola, non hanno artigli. Non corrono, non si arrampicano. Secondo me ci vedono e ci sentono anche poco. Una strana specie, così sfigata. Si estingueranno presto, poveretti, non sono proprio adatti.
- È un miracolo che non siano già estinti, dai retta a me. Comunque, non una gran perdita.


Provate a fare questo giochino: http://games.lumosity.com/chimp.html
E dopo, solo dopo, guardate il video (anche qui: http://www.pri.kyoto-u.ac.jp/ai/ja/publication/matsuzawa/Inoue2007.html


martedì 5 febbraio 2013

Voce del verbo fognare.


Metti a posto bene, non fognare. 
Non lo trovi? L'avrai fognato da qualche parte.
Il lessico familiare mette a disposizione termini utilissimi, senza corrispondenti in italiano altrettanto sintetici e precisi. Fognare è quando si fa ordine apparente e, per fare in fretta e fare meno fatica, le cose si nascondono ficcandole rapidamente e in maniera indiscriminata in qualche posto fuori dalla vista. Tutto quello che stava sopra una scrivania ficcato alla rinfusa in un cassetto, tutti i vestiti sparsi per la stanza ficcati in un involto indistinto nel fondo dell'armadio. Oggetti qualunque - una pentola, un cappello, una mutanda, uno strofinaccio, un notes, un pensiero - ficcati in fretta nel primo posto sottomano, dove non si vedano, dove non stiano tra i piedi, dove non diano fastidio. E si possano, in teoria momentaneamente ma in realtà a tempo indeterminato, dimenticare: si possano collocare in un limbo che consenta di cessare di occuparsene.
Tutti fognano, a volte, e tutti - tranne i ragazzini che in proposito sono molto sereni - si rifiutano di ammetterlo. Ci sono persone che, una volta in cui erano di corsa, hanno fognato sé stesse ripromettendosi di occuparsene in un altro momento ma poi non hanno mai trovato il tempo, e non ricordano neanche più di averlo fatto.
Caratteristica delle cose fognate è che diventino subito quasi impossibili da ritrovare, tanto che in alcuni casi capita che vadano perse per anni o decenni e tornino alla luce solo in caso di traslochi, terremoti, funerali.
Avevo un'idea, o forse era un'opinione, ma devo averla fognata da qualche parte e non so più dov'è.




fognare v. tr. [forse lat. *fundiare, der. di fundus «fondo»] (io fógno, ... noi fogniamo, voi fognate, e nel cong. fogniamo, fogniate). – 
1. Costruire le fogne, provvedere di fognature: f. un campo, farvi le fogne per lo scolo delle acque. 2. ant. a. F. le noci, le castagne, e sim., del venditore che, nel venderle a misura, a cartocci, lascia qualche vuoto per darne di meno. b. ant. F. una lettera, una sillaba, tralasciarla nel parlare o nello scrivere, per errore individuale o come fenomeno linguistico. Part. pass. fognato; come agg., vaso fognato, vaso di piante ornamentali provvisto di fognatura.
(Treccani)