Naaaaa, ma dai, non mi va. Ma senti, per stasera
allora. . Pronto. Oh, ci sei? Dicevo per stasera. Pronto? Pronto? Dove cazzo
sei? Ma vaffanculo. Cosa c’è, dice la Michi, niente, mi ha messo giù il
telefono. Quel testadicazzo. Magari è caduta la linea. See, vabbè. Come se me
ne fregasse qualcosa, di quello sfigato. Aspetta che chiamo... Oh ma dai, non
prende. Neanche il mio, ma checazzo. Si guardano, i lipgloss accuratamente
corrucciati. Guardano i cosi che hanno in mano, lustri, sottili, luccicanti.
Segnale di campo, zero. Andiamo là nella piazza, lì prende di sicuro: ci ho
fatto mille telefonate da lì. Si avviano, lustre, sottili, luccicanti. Ma nella
piazza il campo è zero. Ascolta, fanculo, sai cosa facciamo, ce ne andiamo al
Magillagorilla per conto nostro, ci facciamo l’aperitivo poi si vede, magari
facciamo uno squillo al Marco. Ma se l’Andrea ti ha paccato come ci andiamo: in
metrò, che palle. Ma sì, visto che siamo qui, son cinque minuti. Scendono le
scale, controcorrente. La Michi le viene un dubbio: ma perché tutta sta gente
sale? Scusi, ma c’è qualche problema? L’uomo le guarda le tette, che anche
sotto il cappotto sono lì apposta, poi si riscuote e va a spiegare: non va, il
metrò è fermo, c’è un guasto o non so cosa. Ma tutte le linee? Sì, tutte, da
come han detto sembra una cosa lunga. Se ne va, con un’ultima occhiata e un non
troppo celato rimpianto. Mh, beh, pigliamo un taxi. Ah già, non posso chiamare,
non ho campo. Andiamo alla fermata, siamo in centro, sarà vicina. Sì ma dove?
Ah, non so, cerca su internet. Ah, no. Ma che cazzo avranno ‘sti telefoni. Si
guardano. Guardano i cosi che hanno in mano, lustri, sottili, luccicanti, muti.
‘Scolta, io me ne vado a casa, mi sono rotta le palle, stasera non è serata.
Eh. Vabbè, mi faccio un bagno, mi faccio le unghie, vedo se ribecco in chat
quel tipo dell’altra sera. Sì, massì. Però se il metrò non va e non possiamo
chiamare un taxi come ci andiamo a casa? La Michi, intraprendente: prendiamo un
autobus, un tram. Da qui? Quale si prende? Ah, non so. Guarda su, ah, no. Si
guardano intorno, viene buio presto in questa stagione e la luce sta già, quasi
impercettibilmente, scemando. Ma ci sarà una roba, uno schema delle linee, no?
Tipo comprare una piantina, come avevano fatto i miei quando siamo andati a
Parigi che io ero una bambina. Ma dove? In edicola, c’è un’edicola là in fondo,
all’incrocio. Si dirigono verso l’incrocio - la borsetta inizia a dare
fastidio, anche i tacchi - e incrociano un tram. Anzi due. Fermi sui loro
binari. Lei che è la più figa e perciò s ail tono del comando chiede ai
tramvieri, che fumano parlando di cose loro: scusi, ma i tram perché sarebbero
fermi? E niente, signorina, c’è un guasto: le centraline, sono saltate le
centraline, niente, non vanno. Ma scusi ma noi come ci andiamo a casa? È un po’
nervosa adesso, sul limite dello stridore, il tramviere le guarda comprensivo
le tette, guardi le conviene andare a piedi, fa ondeggiare la mano sigarettata
verso un orizzonte indistinto, le conviene, tra poco fa buio, vi conviene
andare, andare a casa a piedi, a casa. Si guardano, guardano intorno, la luce è
già bassa, il crepuscolo d’inverno incombe. Ma tu sai andarci, a casa a piedi?
Ma sei fuori, no, no, non lo so, cioè boh, magari sì ma saranno due tre quattro
cinque chilometri, non è possibile farli a piedi, non è possibile. Ma se no,
come? Michi, minchia, checazzoneso! Vabbè, andiamo, poi magari i mezzi
ricominciano a andare, si potesse almeno chiamare qualcuno, merda. È
decisamente nervosa: slitta sugli stiletti, lei che col tacco dodici è usa a
fare acrobazie. Un uomo esce imprecando da una porta scorrevole, le urta: nella
sua nicchia il bancomat pulsa dolcemente di luce azzurrina, fuori servizio,
dice. Dopo ventisei minuti entrano in un negozio, vogliono comprare scarpe da
jogging. La commessa è gentile ma loro hanno fretta, non gliene frega niente di
quale modello, vogliono solo togliersi quei plateau. Il sacchetto è già pronto
ma sorge un problema: la carta di credito non funziona, il bancomat neanche.
Non c’è linea, mi spiace, mi spiace, non avete contanti? Contanti, ma
checazzodice! La Michi si intromette, quel tono stridulo la mette a disagio:
no, contanti no, va beh non importa, ci scusi, abbia pazienza, andiamo Giulia,
andiamo. La commessa le osserva allontanarsi, un fregio di sangue sull’orlo
della scarpa, la vescica lacerata cola lungo il tacco. La commessa guarda la
sera che scende, non ha venduto niente nelle ultime due ore - il POS non
funziona - ha provato a chiamare il capo ma il cellulare non prende. E le tipe
hanno detto che il metrò, i tram, è tutto fermo. Prende una decisione, spegne
le luci, chiude il negozio: deve pur tornare a casa, anche lei. Il comando
della serranda è cieco e muto, la lascia aperta – fanculo - e si avvia, ha
molta fretta e un po’ di ansia, adesso. Un giovanotto punta ossessivo sulla sua
auto ferma la chiave elettronica come una pistola, che risponde con un dolce
schiocco di cilecca. Un altro quarto d’ora, è ormai del tutto buio. E nessun
lampione si accende. Porcatroia se non fosse dicembre me le toglierei ste cazzo
di scarpe. Io me le tolgo, vaffanculo, porcodio non funziona un cazzo e non so
neanche dove siamo, quello là in fondo è viale Abruzzi? Le togli? Ma fa
freddo... voglio telefonare, mi sanguinano i piedi, voglio essere a casa,
guarda le case sono tutte buie, non c’è corrente, voglio essere a casa guarda
quei tre non mi piacciono, è tutto chiuso, tutti i negozi, le cler alzate
sembrano abbandonati, voglio andare a casa ho paura mi viene da piangere prova
a telefonare non funziona ancora non funziona niente guarda tutte le macchine
ferme c’e troppa gente in giro a piedi c’è troppo buio cosa succede ho paura ho
paura ho paura.
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