martedì 22 novembre 2011


martedì, 20 dicembre 2005

Le nostre aziende ferroviarie, une e trine, hanno imparato due cose in questo ultimo anno.

La prima, lo scaricabarile: qualunque problema si presenti l’una attribuisce sdegnosamente la responsabilità all’altra “...per cause indipendenti da Trenitalia” “...per guasto al materiale rotabile indipendente da RFI”. Qualunque informazione tu chieda a un capotreno ti dice che non sa, perché "adesso che li han divisi" queste cose (tutte le cose, pare) anche a loro vengono comunicate allo stesso modo che a noi utenti. Ci si mette lì insieme, insomma, a guardare cosa dicono i tabelloni per ipotizzare ed eventualmente scommettere su cosa succederà.

La seconda cosa che hanno appreso è che le parole sono importanti.
Per questo motivo è con fierezza che hanno imparato a dire dopo ogni annuncio di ritardo, guasto, soppressione, voragine, deragliamento, infestazione, inspiegabile sparizione di locomotori o personale viaggiante “...Ci scusiamo per il disagio.” Se uno si scusa, insomma, cosa vuoi di più.
E i nomi, saranno mica poco importanti i nomi? Dopo attente riflessioni hanno pensato che potevano lasciare gli stessi treni, negli stessi orari, con gli stessi vagoni, gli stessi ritardi e le stesse zecche e cambiargli il nome da IR a IC. Siccome è un nome indubitabilmente molto più bello i costi dei relativi biglietti sono di conseguenza aumentati del 50-60%.
La recente attenzione lessicale ha comportato qualche evidente difficoltà riguardo al termine da usare in caso di ritardo: parlare di accumulo sembrava brutto, un messaggio non propizio all’ottimismo e al progresso, così hanno brillantemente risolto inaugurando un innovativo uso del verbo “maturare”. 
Ora l’ineffabile messaggio suona: “Monza, prossima stazione, Monza. Si comunica che il treno ha maturato venticinque minuti di ritardo.”
Qualcosa che matura dà sempre soddisfazione: si prosegue il viaggio sentendosi tutti più opimi, soleggiati e fertili.

I due muratori rumeni che l’altra sera aspettavano al freddo e al gelo sulla banchina assieme agli altri gentili passeggeri di tre diversi convogli - tutti in ritardo a diversi stadi di maturazione - facevano alcune considerazioni interessanti:
- Democrazia cosa molto bella. Sì. Ma io ricorda che quando ero ragazo, al mio paese, se un treno faceva così tutta la gente di treno picchiava molto forte il capo di treno e il guidatore.
- Molto forte? - si informa un signore distinto dal naso ormai lustro e violaceo
- Molto forte, sì.
- Oddio che brutta cosa! - balbetta l'impiegata bionda battendo i denti nella pashmina fucsia
- Brutta, sì. Molto. Però.

Ecco. Però.


Ecco. Non cito dati e numeri: li trovate oggi, purtroppo, su tutti i giornali. Quello che posso dire è che sono vent’anni che prendo il treno tutti i giorni e ho parlato con una gran quantità di ferrovieri, macchinisti, capotreni e controllori.
Ci ho parlato a lungo, non solo per passare il tempo ma perché l’argomento mi interessa e perché loro sono ben lieti di parlarne invece di essere presi solo a male parole.
Bene, negli ultimi anni non c’è stato uno di questi lavoratori, non uno, che alla mia domanda “Sì ma in sostanza, come andiamo?” non mi abbia risposto, testualmente: “Malissimo, signora, andiamo malissimo. Siamo allo sbando e va sempre peggio. Sta andando tutto a catafascio: quel che si vede da fuori è niente rispetto a quello che si vede lavorandoci dentro. Succederanno disastri, signora.”

Anzi, qualche numero lo cito, valà, per chi non ha voglia di leggerseli altrove. Secondo le dichiarazioni ufficiali (non secondo le sensazioni dei viaggiatori, quindi):
- 1.200 dipendenti in meno rispetto alle esigenze
- dai 200 ai 300 treni soppressi ogni giorno (ogni giorno) per mancanza di personale o del treno vero e proprio
- 4.700 km di linea aggiornata coi sistemi di sicurezza su 16.000

Io non sono contraria all’alta velocità, come non son contraria agli abiti da sera.
Mi vien da pensare, però, che prima di comprarsi l’abito da sera sarebbe opportuno ripararsi i buchi nelle scarpe.
Anche perché tra un buco e l’altro ogni tanto qualcuno ci muore.

Postato da: sphera a 13:45 | link | commenti (17)


venerdì, 16 dicembre 2005

Mi è venuto in mente solo pochi giorni fa, iniziando a fare i conti dei posti a tavola per il pranzo (e delle sedie, le posate, i bicchieri da farsi prestare, che non ne ho per sedici persone) che è il primo Natale che passerò senza nonni, senza nessuno dei miei nonni.
Ci ha fatto caso anche mio padre, parlando con lo zio ieri sera :
- Eh, hai visto, siamo partiti dal lato del tavolo dei bambini e ridendo e scherzando siamo arrivati a capotavola.
- Veramente a capotavola ci sono arrivato io. E non mi piace per un cazzo.

Ognuno col suo piatto in mano di cose buone e qualcuna meno, ci spostiamo ogni anno un posto più in là.

Postato da: sphera a 11:33 | link | commenti (16)


martedì, 13 dicembre 2005

Commenti serpenti

- Madò, che faccia hai! Ma cosa ti è successo, non hai dormito?
- Eh, uh... perchè, ho l'aria tirata...?
- Tirata? Sembra che ti sia passato sopra un treno: cos'è, stai male?
- Non so, forse è che ho le mestruazioni, sai... e poi sì, non ho dormito tanto bene, in effetti...
- Ma ti è successo qualcosa?
- Ma no, niente, è che ieri sera ho avuto un po' una discussione con mio marito e sono andata a dormire che ero agitata...
- Un'altra volta? Non fate che discutere, mi pare: siete un po' in crisi in 'sto periodo, eh.
- No, ma poi c'era anche il piccolo che tossiva, ha ancora l'influenza...
- Ancora? Ma lo devi far vedere, sto bambino, va bene che è la stagione ma non può essere sempre malato, non è una cosa normale tutte queste febbri, no?! Cosa aspetti a farlo vedere?
- Sì beh, sai magari l'asilo...
- Comunque quando sei così sbattuta non metterti quel golfino lì, guarda, davvero: ti butta giù che sembri verde.
- Ma stamattina, non so, non son nemmeno stata a guardare cosa mi mettevo, con sta nottataccia...
- Sì, sì, si vede. Eccome. Dai che andiamo a berci il caffè così magari ti tiri un po' su, poverina.

Un minuto, forse due e la sventurata si è sentita dire che è un mostro inguardabile, che il suo matrimonio è in pezzi, che probabilmente suo figlio soffre di un morbo sconosciuto e che oltretutto si veste di merda.
Trovandosi, nel contempo, a dover fornire informazioni di natura strettamente privata sul suo periodo ormonale e i suoi rapporti familiari, mentre annaspa nel tentativo di giustificare la propria pessima riuscita.
Perché c'è tutta questa genìa di persone che non lascia perdere occasione per rimproverare il mondo, per fargli notare quanto sia carente in questo o in quello, per rimarcare che non è così che si deve fare e che peccato, non sei proprio riuscito a far di meglio, poverino.
Ho una collega che quando dici che sei stata al mare spalanca gli occhi e ti riprende: "Ma come, sei stata lì e non sei andata in quell'albergo bellissimo che eccetera? È l'unico posto decente da quelle parti, negli altri posti non val proprio la pena. Non andrei altrove nemmeno se mi pagassero, non so come fai tu, non so."
E avevo un amico anni fa, uno di quelli del gruppo con cui ti trovi a passare suppergiù tutti i tuoi vent'anni, condividendo i campeggi liberi e le feste ubriache con i genitori assenti: un bravissimo ragazzo, intelligente e molto affettuoso, uno che si sarebbe fatto fare a pezzi per i suoi amici, un idealista, un tenero. Eppure era quello che quando ti vedeva, non importa quanto tu fossi in forma, quanto la pelle e gli occhi splendessero di ormoni e di salute, quanto avessi i capelli lustri e di buon taglio, quanto ampio fosse il tuo sorriso di benessere, quanto carino e giusto il tuo vestito: avevi un brufolino lì a lato del naso? Ti salutava dicendo: "Oh, ciao, quanto tempo! Mamma che brufolo, cosa ti è successo? Proprio lì che si vede così tanto, che peccato."
E non è che poi dicesse qualcosa come "Però per il resto ti trovo proprio bene", no, niente: il bilancio registrava un solo punto, ed era in negativo.
A mia mamma faceva venire un nervoso tale che sbatteva pentole e coperchi per mezz'ora ogni volta che capitava da noi, e non serviva a niente che io e i fratelli dicessimo che non era cattivo, anzi, che ci voleva un gran bene e tutto: il suo giudizio era lapidario "Sarà un angelo, ma allora è un angelo maleducato e stronzo".
Adesso come adesso direi che mi trovo perfettamente d'accordo: chi cerca - sempre e in ogni caso - di mettere chi ha di fronte un po' in difficoltà, chi cerca il modo di provocare un imbarazzo, di stimolare giustificazioni e scuse, di far reagire con un anche momentaneo annaspamento e balbettìo, anche se non ci riesce, anche se è mille miglia lontano dallo riuscirci, per il solo aver fatto il tentativo per me cade diritto nella categoria delle serpi, e lì rimane.
Poi, anche ai serpenti si può voler bene, s'intende, se si vuole.

Postato da: sphera a 09:35 | link | commenti (17)


martedì, 06 dicembre 2005

Ci sono lavori, sui binari. Lavori grossi, di potenziamento e raddoppio: lavori lunghi anche, si parla di due, tre anni almeno.
Quasi tutto il tragitto è da mesi fiancheggiato da un enorme, quasi ininterrotto cantiere.
È cantiere di scavo e sbancamento, costruzione di massicciate e sottovie: vuol dire che è luogo di attività pesanti, con tonnellate e tonnellate di terra sassi e fango, con autogru altissime che fanno dondolare enormi irsuti fasci di tondini, presi al volo nella loro assassina oscillazione dalla mano guantata di un microscopico operaio, che con la grazia di quel gesto preciso evita con apparente noncuranza la morte di ferro che gli sfiora la testa senza casco.
In ognuna di queste albe d’inverno guardo dall’alto dei finestrini quell’apparente caos di melma e nebbia e acciaio, quegli stivali immersi in terra viscida emulsionata col ghiaccio della notte, quel metallo nero di cui sembra di sentire il peso e il gelo, quei berretti calati fino agli occhi su facce a volte anziane, molto spesso scure, quei fiati che escono diritti nell’aria ferma, mescolati di vapore e fumo, quei guanti che irrigidiscono le mani e sembra le debbano ingoffare, e invece le vedi con la tenaglia girare esatte intorno ad un tondino il fil di ferro, legarlo all’altro, stringere e fermare il nodo, con un unico movimento armonico e concluso a cui è più che sufficiente una mano sola e che non fa nemmeno oscillare la sigaretta sul lato della bocca.
Guardo i mucchi di ghiaia brinata tra pozzanghere d’acqua scura e neve sbriciolata, vedo le creste alte di fango che congelano i tracciati curvi degli enormi camion che rimuginano cemento in tondo, vedo piovigginare sulla baracca e sul fuligginoso bruciacchiare di quattro assi ammonticchiate. E la luce che sprizza di scintille azzurre dove una giacca arancio, curva, fa un buco nella nebbia con una fiamma ossidrica.
Mi pare allora che un treno e un ufficio caldo e asciutto siano quasi un premio a volte, anche se non so per cosa.

Postato da: sphera a 10:21 | link | commenti (11)


giovedì, 01 dicembre 2005

Una volta ho visto una fontana di mercurio liquido.
E sono rimasta a guardarla per un sacco di tempo, perché era una cosa proprio bella.
A Barcellona, nel museo di Mirò, c'è questa fontana che sta dietro un vetro - ovviamente e purtroppo, perché viene davvero voglia di toccarla - che è basata sul principio di certe fontane giapponesi fatte da un complicato sistema di canali e vasche in precarissimo equilibrio, per cui quando uno di questi fino a quel momento orizzontale si riempie c'è un momento preciso in cui, con una sola goccia in più, il suo baricentro cambia e si inclina, e lascia cadere e scorrere il liquido sulla condotta sotto, che a sua volta si colma fino al punto in cui l'equilibrio cambia e di nuovo versa, e va avanti così, a volte con movimenti lenti e graduali di una sola parte, a volte con una serie repentina di riversamenti e rovesciamenti di vaschette una nell'altra, tanto veloci ed imprevisti che si fa fatica a seguirne l'andamento.
È grande e metallica, quella fontana, e ci scorre dentro il mercurio liquido, che chiunque abbia provato da bambino a rompere un termometro e vedere correre e inseguirsi le sferette e unirsi in una più grande e poi separarsi ancora e scivolare via fino a fermarsi nelle giunte del parquet, lustre e perfette e scintillanti, chiunque sa quanto sia bello.
Ed è proprio così certe volte, con questo sistema meccanico complesso di pesi e contrappesi e flussi, che il tuo mondo si muove adagio per un po' - magari per tanto, anche - e poi all'improvviso c'è una goccia che altera tutto l'equilibrio, e tutto si mette repentinamente in moto e cambia, si rovescia da una parte, si alza da quell'altra, lì gira e si riempie, qui si inclina e svuota: e tu vedi tutto muoversi e mutare e non sai come, finché si ricompone un bilanciamento diverso e nuovo che non potevi immaginare finché non te lo vedi fluire compatto e lucido davanti.
L'ultima lezione che ho fatto trattava anche dell'equilibrio, della simmetria e della teoria del caos e l'entropia. E ho tenuto a far presente ai miei studenti che tra l'equilibrio stabile, quello instabile
e quello indifferente, noi tutti ci sforziamo di trovare la stabilità della pallina che sottoposta a qualunque forza riesce poi a tornare dove si trovava, nella quiete, ma che in realtà siamo palline in precarissimo equilibrio su una china instabile e che qualunque cambiamento mai più ci farà tornare dove eravamo prima.
Gliel'ho spiegato sì, ma non avevo ancora saputo una cosa che ho saputo ieri e che ha messo in moto una complicatissima fontana, altrimenti avrei detto, l'avrei detto a loro: c'è molta entropia nell'aria, ragazzi, un movimento fluido di mercurio e piombo e miele, e noi qui stringiamo i pugni e lo guardiamo ad occhi spalancati, ma è talmente bello questo moto assurdo e lustro che ci viene anche da sorridere, un pochino.


La fontana, avevo dimenticato di dirlo, è di A. Calder e ha per nome "Il potere della parola". Non me ne ricordavo affatto, ma desso che l'ho riscoperto mi è sembrato bello, ecco.
Qui c'è la foto, se avete voglia di guardarla: http://www.epdlp.com/cuadro.php?id=2065

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