domenica 4 dicembre 2011

Dicembre 2006


venerdì, 15 dicembre 2006

È impellente che venga fatta (se già non c'è, va a sapere) una storia sociale dell'ingiuria.
A quanto mi risulta alcuni insulti si sono improvvisamente estinti e considerando per quanti secoli sono stati offese sanguinose, da lavare col sangue, c'è di che rimaner stupefatti.
Fino a quando ero io ragazzetta, ad esempio, l'appellativo di "vigliacco" era un affronto insostenibile: non puoi, non puoi dirlo senza conseguenze, le peggiori che io - monello o cavaliere, ussaro o malavitoso, cowboy, principe o cosacco - riesca a infliggerti.
Ora è scomparso, come il vaso da notte, come il dodo.
Da quanto tempo non sentite dire a qualcuno "Sei un vigliacco!" (un vile, un fellone)? 
Per un sacco di tempo poveri e ricchi, acculturati e incolti, placidi e iracondi potevano accettare, se le circostanze lo indicavano prudente, quasi ogni genere di insulto, dal cornuto al lazzarone, dallo sfrontato alla troia, dall'incapace allo stolto, al ladro, al peccatore, all'inetto, al vizioso, al maramaldo, ma perdevano il lume degli occhi e della ragione se gli si dava del vile.
Quanti convegni all'alba hanno visto i conventi delle carmelitane, quanti "ripetilo se hai il coraggio" con un sasso in mano e la furia negli occhi hanno ospitato i cortili, quante lame sguainate i tavoli di osteria, a quante furie improvvise di pugni e calci nella polvere hanno assistito vicoli e piazze: e colpi di pistola e ciocche di capelli ai lavatoi.
Adesso niente, la vigliaccheria è scomparsa: nessuno più in fabbrica o in ufficio, al campetto o per strada dice a nessun altro che è un vigliacco.
Gli dice coglione, testadicazzo, sfigato, e una serie assortita di altre cose. Che hanno in comune, più o meno volgari che siano, il fatto di essere in qualche modo attributi della persona, cose che uno "è", non che uno "fa".
Coglioni, per intenderci, si nasce, vigliacchi si diventa.
L'ingiuria del terzo millennio colpisce un modo di essere, non un comportamento. E questo mi preoccupa, un po'.
E non solo questo. Perchè la vigliaccheria è un comportamento orrendo, il peggiore forse (o perlomeno così per una gran quantità di tempo è stato considerato: meglio malvagi che vigliacchi, meglio ladri, briganti, malversatori, predoni che vigliacchi, meglio violenti, rissosi, assassini che vigliacchi) e il primo problema è che non è scomparso affatto.


La viltà e la fellonia sono più che mai presenti ed eclatanti. Hanno solo smesso di essere considerate un problema. Se io oggi dicessi a qualcuno che è un vile invece di volermi uccidere si metterebbe a ridere. E questo mi sconvolge.

Il secondo problema è il fatto che le ingiurie stiano pericolosamente sbilanciandosi dall'agire all'essere.
Se dico a qualcuno che è un vile, un fellone, un ribaldo gli faccio carico di un comportamento negativo, di un modo di agire che in altre circostanze e con un po' di buona volontà nulla vieta possa essere corretto. Quanti romanzi, quanti racconti e film abbiamo visto in cui il vigliacchetto, il meschinello del primo capitolo si riscattava alla fine addirittura diventando, nelle versioni più edificanti, un eroe? 
Se gli dico che è una merda o uno sfigato gli attribuisco un modo di essere, invece: quasi un'impronta genetica, un destino.
Posso pensare a come poter fare per non comportarmi più da vigliacco, mi vengono in mente abbastanza facilmente dei modi, delle possibilità, ma uno sfigato? Come accidenti si fa per non essere sfigati? Si tratta di scarpe, di corporatura, di pettinatura, di soldi, di forma delle spalle, colore dei capelli, cilindrata, senso dell'umorismo, taglia di pantaloni, occhiali?
Quante volte abbiamo sentito dire "Può fare quel che vuole ma resterà sempre uno sfigato"?
Il buon vecchio "puttana" aveva possibilità di redenzione, "sfigata" non ne ha quasi nessuna: chiedetelo a qualunque ragazzina che darebbe la mano destra per scegliere, potendo scegliere, il primo insulto piuttosto che il secondo. E avrebbe anche ragione: di comportarmi in una certa maniera posso - volendo - smettere, di essere come sono, diosanto, come faccio?
E dire che sfigato, letteralmente, vuol dire sfortunato, svantaggiato: condizioni alle quali andrebbero rivolti comprensione, appoggio e solidarietà. Ed ecco che invece si è tramutato in ingiuria.
Il fatto che un attributo cessi di essere - o diventi - un insulto andrebbe forse maggiormente considerato: di certe parole andrebbe tutelata la significanza offensiva, certe ingiurie andrebbero accudite e protette come un prezioso patrimonio, innaffiate e concimate.
Io non voglio che la categoria della viltà si estingua, ad esempio. Voglio che la gente si vergogni, di essere vigliacca. Per favore. Ci tengo molto.

(E invece accidenti, vedi: mi accorgo solo adesso dicendolo che in silenzio e senza nemmeno un lamento ci si è estinta, ci è morta di consunzione anche la vergogna.
Da quanto tempo non sentite dire a qualcuno "Vergognati!"?)

Postato da: sphera a 10:25 | link | commenti (14)

mercoledì, 13 dicembre 2006

A me fa dispiacere se i papi si arrabbiano, se si rattristano. Davvero, mi turba. Anche se vedo angosciati i dalai lama, o i pope, gli imam, i guru, io ci resto male.
Il fatto che io sia atea non mi esime dal dolermi nel vedere chiunque, pontefice o vescovo, gran sacerdote, monaco o predicatore che perde la sua serenità, che si fa sangue amaro. Son cose che non dovrebbero succedere, davvero.
Perciò dico: sistemiamola, 'sta cosa.
È semplicissimo, ci vuol niente.
Tanto per cominciare, non chiamiamola matrimonio. Chiamiamola, che so, Peppuccio.
Peppuccio si occupa di faccende pratiche, di questioni tra le persone e tra quelle e lo stato, robe noiose e prosaiche come le cartelle delle tasse e i subentri nei contratti d'affitto, incombenze necessarie ma anche un po' tetre come le beghe ereditarie e le pensioni di reversibilità, impegni non sempre gradevoli come le visite in carcere o al capezzale di un malato, seccature così: niente di sacro, nulla di mistico.
Brighe di soldi e di contratti, spese condominiali e dichiarazioni dei redditi: questioni da notaio, da ragionere pelato, da commercialista.
Cosa c'entrano i papi in tutto questo? Niente, appunto. Lasciamoli tranquilli che hanno altro di cui occuparsi, hanno da fare apostolato, che qui non c'è più nessuno che crede in niente, cara mia, e ha visto quanta gente c'era a messa l'altro giorno? Quattro vecchiette e settimana prossima facile siano tre, che la Lina l'ho vista proprio male.
Così risolviamola senza dar disturbo a sacerdoti e santi: si combina che un paio di persone (o anche più, perché mettere limiti all'affetto reciproco) a un certo punto vanno in comune e firmano un Peppuccio, dichiarando che hanno deciso liberamente e di comune accordo di mettere in comune un po' di vita - mica detto necessariamente tutta, un Peppuccio oggi c'è e domani chissà, un po' come il lavoro - poi escono tutti contenti e vanno a casa e magari strada facendo si fanno anche un brindisi col prosecchino, perché no.
Ci sono poi alcuni che hanno fedi e credenze, che sono fermi e convinti nella loro professione religiosa e che pertanto si accorderanno con un ministro del loro culto per organizzare un particolare rito, lieto e commovente, che officieranno adeguatamente con una millenaria procedura di promesse e voti, l'unica che legittimamente ritengono adeguata a sancire davanti a dio l'unione di due persone (liberissimi, naturalmente, di chiamarla Matrimonio o Qumkwathkz o Arabella) e che poi, felici e contenti tra baci abbracci e congratulazioni torneranno a casa, con o senza sosta per il prosecchino o per il sacrificio rituale di un vitello e due galline.
Se oltre alle fedi al dito (o a un velo, un braccialetto, un tatuaggio, una tiara, due gocce di sangue, una cordella intrecciata) metteranno nel cassetto della credenza - prima o poi - un Peppuccio è affar loro, mica nostro.
Tutti contenti, tutti a posto con gli affitti e con gli dei, tutti felici.
È così facile. Facciamo uno sforzo, non facciamoli piangere i prelati, dai, che è natale anche per loro.

Postato da: sphera a 10:37 | link | commenti (9)

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