mercoledì 14 dicembre 2011

Febbraio 2007


mercoledì, 14 febbraio 2007

Allora mettiamolo in prigione, Tom Sawyer. E della cella di Huckleberry Finn meglio addirittura buttare la chiave. Rinchiudiamo Giamburrasca, sbattiamo in riformatorio Cosimo Piovasco di Rondò e in isolamento i ragazzi della via Pal, tutti, compreso l'unico soldato semplice Nemecsek.
Lasciamo Pinocchio impiccato alla quercia grande, che se lo merita.
Fuciliamo Franti, il peggiore di tutti, il re dei bulli.

Ho fatto un intervento molto sgradito l'altra sera in Consiglio d'Istituto, in seguito alla proposta di un genitore che promuoveva per le prime classi elementari una serie di incontri con degli psicologi per affrontare il fenomeno del bullismo, istanza accolta con generali cenni di assenso e ribadita da una genitrice che sottolineava, orrificata, di aver assistito personalmente alla raccapricciante scena di due bimbetti che dicevano a un paio d'altri "tu sei mio amico, tu no." sottolineando le parole col gesto del pollice diritto e del pollice verso. "Una cosa di una tale violenza psicologica che io, io mi domando e dico, che effetto potrà fare sulla personalità di un bambino, diomio!".
Il mio intervento, che ha raggelato l'uditorio, esprimeva semplicemente la considerazione che a mio personalissimo parere il fenomeno del bullismo non esiste, se non come l'ennesima mediatica falsa emergenza la cui sproporzionata eco è dovuta probabilmente a una mole impressionante di sensi di colpa di genitori che si sentono - e forse sono - inadeguati alla bisogna.
Ma riconoscevo che questa poteva benissimo essere una mia opinione, legittima tanto quanto quella di considerare che il prossimo scontro di civiltà, passata la foga di quello coi musulmani, sarà quello coi ragazzetti.
Quello che mi premeva rilevare invece, e che ho perlappunto rilevato, è che ritenevo che l'insegnare a un bambino a) che non si deve essere prepotenti e b) che non si devono subire le prepotenze, siano due delle non più di tre o quattro cose che stanno alla base di ogni processo educativo, di ogni tentativo di avviamento al convivere civile.
Che, in altre parole, non può che essere implicito e scontato che vengano trasmesse. E che pertanto se io avessi sentito il bisogno che venisse uno psicologo per dirmi che i figli oltre che vestirli bisogna anche educarli mi sarei sentita una cretina.
Precisamente come mi sarei sentita molto a disagio se fossi stata un'insegnante e qualcuno mi avesse dovuto dare la sconcertante notizia che se oltre a scrivere le addizioni sulla lavagna non sei capace di far capire a un gruppo di ragazzini che non accetterai che ribaltino i banchi probabilmente non era l'insegnante il mestiere che dovevi fare.
Ritenere che sia insopportabilmente violento dire a un compagnuccio "tu non sei mio amico" mi fa venire i brividi. Ma ancora più mi preoccupa che sia dato per scontato che il bimbetto in questione ne rimanga segnato per tutta la vita.

Stiamo allevando una generazione di vittime.
Perché il problema del cosiddetto bullismo, il problema vero, non è che un prepotentello ti dia uno spintone. Il problema è che tu a quello spintone non reagisci: ti accoccoli, piangi, e alla successiva occasione ti lasci spingere ancora più forte, e ancora di più. Perché tu, poverino, sei buono e gentile, sei una piccola vittima, tu.
E succede che ora fin dalla scuola materna uno si senta obbligato a dover scegliere, e sia una scelta univoca, un destino: o vittima o carnefice.
Che l'alternativa alla prepotenza sia e possa essere solo l'acquiescenza mi esaspera. Se c'è una cosa che ritengo valga la pena insegnare, fosse anche solo quella, è che non si è mai prepotenti con nessuno e che non si accettano senza reagire le prepotenze di nessuno, mai, se non in pericolo di vita.
La mia linea è sempre stata: Parlaci, mettiti d'accordo. Se non puoi metterti d'accordo gira al largo. Se non puoi metterti d'accordo né girare al largo, se ti mettono nell'angolo, picchia. Forte.
Non penso che il far finta che non esistano - giacché esistono da milioni d'anni - l'aggressività, il controllo del territorio, il bisogno di stabilire delle dominanze e delle gerarchie, le invidie, le gelosie, la voglia di fare i dispetti, possa funzionare.
Non penso che il far finta che esista un mondo dove non avresti voglia che quella maestra odiosa finisca sotto un camion, dove quel tuo compagno non ti stia antipaticissimo, dove a quella bambina quelle treccine gliele strapperesti, dove non avresti mai voglia di fare uno scherzo a quel ragazzino e farlo strillare, dove non ti verrebbe mai l'irresistibile impulso di fare un dispetto a tua sorella, il far finta che quel mondo sia questo, e che la civiltà non consista nel regolare i propri impulsi ma nel non averne e se li hai sei un reietto, un mostro, un bullo, ecco, non penso sia proficuo.

Penso che si debba insegnare la differenza.
La differenza tra aver voglia di tirare un sasso e il farlo. E la differenza tra il tirarlo per giocare o per far male. E la differenza tra il tirarlo per essere cattivi o per difendersi (perché allora David, quel bulletto, sempre in giro a tirar sassi con 'sta fionda).
Perché se non si chiariscono le differenze, se si mette tutto insieme, se tra il mandare un mazzo di rose con un bigliettino malizioso alla compagna e lo stuprarla non si fa differenza e si chiama la polizia comunque, se si grida al lupo troppo, e troppo spesso, e sempre, poi finisce che i lupi veri non li si distingue più.
E nemmeno loro lo sanno più, questi poveri lupetti, che se tirano i codini alla compagna di banco o portano via il secchiello all'infante dell'ombrellone vicino finiscono sui giornali, e arrivan le volanti. A quel punto, delinquente per delinquente, tanto vale spaccarglielo sulla testa quel cazzo di secchiello.

Che poi si parla tanto, con tanti grassetti e corsivi, del branco, laddove se c'è entità facile da gestire è un branco: basta diventare il capobranco. E forse il problema è proprio quello, che chi non è capace di fare il capobranco pensa che la soluzione più comoda sia sterminare i cagnolini (Oh, Capitano, mio Capitano!).
Piuttosto, allora lasciamoli stare, non facciamoci i fatti loro se non abbiamo la capacità, il tempo o la voglia di conoscerli, ma bene, fino in fondo. 
Se non sappiamo un accidente del loro mondo lasciamo che quello se lo organizzino loro. Perché se la cavano benissimo da soli: a fare a botte nei cortili, a stabilire le loro regole e decidere chi comanda e a piangere di frustrazione, anche, finchè non gli vien voglia di prendere a calci chi li fa arrabbiare (e se le prendo chissenefrega: non conta chi vince, conta quel che ci siamo detti: "Tu: sarai una vittima, tu?" "No, testone di cazzo, le prenderò anche ma una vittima tua, pirlone, te lo sogni"). 
E tu, vittima predestinata, in quale mondo di stucchevoli favole di trenini giocondi sei cresciuta, per non sapere che questo è un posto pieno di insidie e che se ti imbamboli a pensare quanto sei poverina faranno in tempo a farti a pezzi o quantomeno a riprenderti col cellulare?
Non ti ha mai detto nessuno che non solo perché qualcuno è un po' più grande e aggressivo e forte debba per forza vincere sempre?
Perché allora, sai, Pollicino e Hansel e Gretel e il Gatto con gli stivali e la moglie di Barbablù avrebbero dovuto dire Oh cazzo, quanto è grande e forte questo orco, questa strega: tocca che mi metto qui tranquillo e mi faccio mangiare.
Mi sa che ti han raccontato le favole sbagliate.

Lasciateli in pace, lasciate in pace Tom Sawyer e Pinocchio e Pippi Calzelunghe: sono un po' discoli, fanno a botte, bigiano la scuola e fanno gli sberleffi, fanno i brighella, sì. Poi trovano qualcuno più grande di loro, più cattivo, e in qualche maniera se la cavano.
Né carnefici né vittime, mai. E che sappiano riconoscere Shere Khan. E si guardino, si guardino dalla guazza, e dagli assassini.

Postato da: sphera a 11:16 | link | commenti (16)


giovedì, 08 febbraio 2007

Però, pensavo: se a una fa tristezza star da sola vuol dire che considera la propria compagnia quella di una persona ben triste.

Postato da: sphera a 12:52 | link | commenti (21)

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