mercoledì 14 dicembre 2011

Marzo 2007



 venerdì, 16 marzo 2007


L'odore della paglietta che sfrega il sugo di pomodoro.
L'odore della birra sullo strofinaccio nell'angolo del pavimento.
L'odore dell'aglio che salta nell'olio bollente.
L'odore del vino rosso rimasto sul fondo dei bicchieri.
L'odore delle torte che cuociono nel forno.
L'odore della sera dalla porta.
L'odore del prezzemolo e del pepe.
L'odore dello Splendor Piatti dentro i polpastrelli.
L'odore dell'acqua bollente già salata.
L'odore del formaggio che fonde e carbonizza sulla piastra.
L'odore della cantina.
L'odore di pane della bruschetta.
L'odore del frigorifero aperto.
L'odore della schiuma del latte che bolle e fischia.
L'odore del sudore di chi lavora accaldato.
L'odore del campari col bianco.
L'odore della sigaretta che entra assieme all'aria fredda.
L'odore del burro sciolto con la salvia.
L'odore dello straccio azzurro in fondo al lavello.
L'odore del turacciolo prima di versare.
L'odore di ferro dei coltelli.
L'odore di vapore che sbuffa dalla lavapiatti aperta.
L'odore del dopobarba di chi ha fatto la doccia prima di andare al bar.
L'odore delle padelle mentre le asciughi.
L'odore delle patatine nella ciotola.
L'odore di ghisa rovente dei fornelli.
L'odore del legno dei tavoli.
L'odore dei posacenere quando li svuoti.
L'odore di tutti i salumi a brandelli dietro la lama dell'affettatrice.
L'odore del filtro della lavastoviglie.
L'odore dei grembiuli quando li togli.
L'odore del whisky di dodici anni.
L'odore del fondo del caffè che è il rumore di quando lo sbatti, giù in quel pozzo, che chissà dove mai andrà a finire ancora non lo so.

Postato da: sphera a 10:51 | link | commenti (11)




martedì, 13 marzo 2007


Il fatto è che un sacco di gente lavora troppo poco.
Tolto chi sgobba in fabbrica e nei cantieri, tolto chi lavora nei campi e chi bada e pulisce, a cui va la mia eterna stima (che son pur tanti, ma quanti qui da noi, in percentuale, quanti? Vogliamo dire il cinquanta per cento? Per me son molti meno) gli altri, tutti gli altri, sostanzialmente non lavorano.
O perlomeno non nel senso del lavoro in quanto fatica: non faticano, non sudano.
Diciamo le cose come stanno: gli impiegati (tutti, me compresa quando sto in ufficio) non fanno sto gran faticare. Hanno la seccatura della presenza e degli orari, certo, devono arrivare e poi restare lì. Ma non è faticoso, no. Noioso, a volte. Spesso innervosisce, talvolta irrita, quasi sempre snerva. 
Ma la fatica è un'altra cosa.
Il novanta per cento delle persone che conosco non ha mai versato una goccia di sudore in vita sua se non per il caldo - e in ogni caso raramente, e frignando molto.
Non ha mai provato a fare uno sforzo da far male ai muscoli se non sulla moquette di una palestra - mezz'ora, vestito in lycra, ascoltando shakira nelle cuffie.
Non che io voglia dare un senso morale alla fatica fisica (anche se, in fondo, perché no?) ma trovo ci sia qualcosa di sbalorditivo nel fatto che milioni di persone si accascino gemendo ogni sera la loro stanchezza dopo essere stati seduti otto ore su una poltroncina imbottita.

Certo, lo stress. Parola non a caso inventata non da molto: prima non serviva. E il bisogno di inventare una nuova parola senza che sia stato inventato o trovato alcun nuovo oggetto mi insospettisce sempre. Inventata per dare un nome a quella somma di noia e agitazione, frustrazione fisica e languore psichico che proviene dall'aver costretto mente e corpo a non fare pressoché niente tutto il giorno, inventando risultati e traguardi e aspettative a cui rispondere perché un senso lo si dovrà pur dare, a tutto questo.
Io ci ho lavorato e ci lavoro in ufficio, anche. Lo so com'è. Si legge una mail, si naviga un po', si parla moltissimo, ci si concentra per qualche momento - magari anche a lungo per carità, alcuni sono anche coscienziosi - su una questione da risolvere, ci si pensa, sì. Si fa fatica a pensare, sì. Si fa un po' fatica. Mica tanta, dai. Tensione, pressione, scadenze: fastidio sì, ma fatica, andiamo, no.
C'è tanta gente, davvero tanta, che nasce e cresce e vive senza mai aver fatto uno sforzo, uno vero.
Che pensa che metter su due sofficini per cena dopo essere stata seduta ad una scrivania sia devastante. Che ritiene quasi insostenibile portar giù in ascensore quattro etti di immondizia dopo aver passato la giornata nell'aria condizionata di una sala riunioni.
Che considera il logorìo mentale del pensare a una campagna pubblicitaria, la noia di dover timbrare bollettini di conto corrente dietro uno sportello postale, lo stress di un contratto commerciale, la ripetitività di un tran tran di segreteria come uno sforzo in grado di alterare l'integrità psicofisica, una cosa debilitante al punto di aver tutte le ragioni per essere esausti la sera e trattar male coniugi e figli, per non aver voglia di pensare a niente, per essere cupi e taciturni, per essere troppo stremati per fare l'amore.

Io sono a favore dell'introduzione obbligatoria dei campi di lavoro.
Non come punizione, non sia mai. Come opportunità.
Un master in fatica.
Gratuito e obbligatorio.
Sei mesi, un anno, a sudare. A mietere, a raccogliere i pomodori, ad asfaltare le strade. In officina e in fabbrica (ci sono ancora le fabbriche? sì tesoro, ci sono ancora, sono rumorose e sporchine e quando esci pare ti facciano male le gambe e le mani, ci sono ancora, sì).
Perché?
Perché ritengo vada considerevolmente ridotta la quantità di gente grande a grossa che dorme dalle undici alle otto e si lamenta che si alza presto, di gente che guaisce nevrotica "insomma, ho lavorato tutto il giorno!" quando il lavorìo consisteva nello star seduti a pastrugnare su una tastiera, a giocherellare con word e power point appoggiati al piano levigato di un tavolo laminato frassino.
Diventi grassottello e pallido e bisinfio, poi. Non ti fa neanche bene. Ti vien la cellulite sulle cosce se le tieni troppo ferme, sai, inguainate in collant e tacchi incollati a una seggiolina.
Otto mesi di cantiere e mi ritorni un fiore. E vedrai come mi dormi bene la sera, invece di tremare tutto mentre butti giù una pastiglia davanti al televisore "Sono stanco ma non ho sonno, non so, son teso, sono agitata, ho l'insonnia, forse sarò depressa".
Un anno di macchina utensile, di servizio ai tavoli, di scale da lavare, di padelle, di tetti, di siepi, di asfalto, di mattoni.
E poi davvero l'happy hour ti parrà un'ora felice.

Postato da: sphera a 11:24 | link | commenti (16)


martedì, 06 marzo 2007

(Quanto segue era nato come risposta, ovviamente troppo lunga, ad un commento del post precedente, di cui cito solo la frase iniziale: "e se lo sconsiderato gesto fosse reazione ad una insostenibile tensione, dovuta all'ingestibilità della classe?")

Beh, parlare di ingestibilità di una quindicina di bambini di sette anni mi pare davvero eccessivo. Se a qualcheduno la gestione di un gruppetto di marmocchi risulta insostenibile non credo dovrebbe mettere tra le sue ipotesi professionali l'insegnamento.
Ho insegnato e insegno a ragazzi ben più grandi, e mi è capitato di dovermi confrontare anche con faccende più preoccupanti di uno scolaretto rumoroso (ho avuto studenti abituati a dar fuoco ai barattoli di colla sui davanzali dell'aula, ho visto portare in classe e poggiare ostentatamente sul banco una pistola - che tuttora non so se fosse vera o finta, carica o meno -, ho raccolto confidenze di ragazzette che temevano di essere incinte e si auguravano che il padre fosse il compagno di scuola e non un parente prossimo, e via discorrendo).
Però, ripeto, nessuno obbliga nessuno a doversi rapportare con bambini o adolescenti più o meno intrattabili: si può fare la commessa, l'impiegato, la ricamatrice, l'illustratore, l'estetista.
Non nego nessuna, nessunissima delle carenze, inadeguatezze o assurdità del nostro sistema scolastico, anzi. Però diciamo la verità: la maggioranza (va bene, va bene, non la maggioranza, diciamo una larga parte) di chi si mette a insegnare lo fa senza la minima vocazione o talento pedagogico, didattico o educativo ma semplicemente perché a) non ha trovato di meglio; b) trova molto comodo guadagnare un migliaio di euro al mese, come minimo, per lavorare diciotto ore la settimana c) trova altrettanto comodo un lavoro dei cui risultati non è tenuto a render conto a nessuno e che può svolgere - o non svolgere - con le modalità che ritiene più opportune, dietro la porta chiusa di un’aula.
Conosco a memoria i vari “Ah, ma non son diciotto ore: c’è la programmazione, ci sono le ore di presenza, ci sono i compiti da correggere….” e posso ammettere che per taluni - anche molti - sia così. Ma i colleghi che ho avuto si sono – quasi tutti, quasi sempre - mostrati esilarati dal fatto che io ritenessi che nelle ore di presenza di norma si dovesse essere presenti, o che le riunioni per la programmazione oltre a scriverle su un foglio si potesse anche provare a farle.
I bravi insegnanti ci sono, così come ci sono i bravi genitori, i bravi presidi, le brave bidelle (e i bravi ragazzini, anche: qualcuno ce n’è che non ha in mente né di violentare né di squartare la maestra).
Però ci sono anche torme di sciurette - l’Italia è l’unico paese dove l’ottantuno, dicasi ottanuno per cento degli insegnanti è donna, a fronte del fatto che rispetto ad altre nazioni sono relativamente poche le donne che lavorano: son tutte lì, a scuola - brave matrone di mezz’età (risulta giustappunto che siamo anche l’unico paese dove la stragrande maggioranza degli insegnanti veleggia sulla cinquantina) che non sapendo neanche bene come si usa un cellulare si trovano comprensibilmente in difficoltà dovendo proibire di usarlo in classe. Ci sono anche un numero spaventoso di insegnanti che ripetono da trent’anni la stessa lezione (le statistiche relative al numero di libri letti dagli insegnanti italiani fanno rabbrividire) e ritengono, nel terzo millennio, che Il giovane Holden sia “forse un po’ troppo moderno per ragazzi di quest’età….” O che Blade Runner sia “un po’ difficilino per dei quattordicenni… anche un po’ crudo, forse…”.
E ho frequentato un numero sufficiente di consigli di classe, collegi dei docenti e consigli d’Istituto per essermi fatta un’idea della composizione media del corpo insegnante: un’idea certo non statisticamente rilevante, ma empiricamente, percettivamente, piuttosto verosimile.
Anche per questo inizierei a essere un po’ stufa di tutta questa marea di insegnanti che frigna di esser sottopagata - il che non mi pare poi così vero, tutto considerato – che piagnucola sulla scarsa considerazione del fondamentale ruolo svolto nella società (e mi chiedo: se fino a qualche decennio fa “la Signora Maestra” o “il Professore” erano rispettati tanto da essere tra i notabili del paese, pur avendo magari venticinque anni e non guadagnando certo cifre da nababbi, ci sarà pure un motivo perché non sia più così), che si lagna ininterrottamente dei programmi e dell’organizzazione del sistema scolastico.
Perché il “sistema scolastico” alla fin fine è da loro che è costituito. Che si diano da fare per cambiarlo se lo trovano tanto inadeguato.
Le autonomie dei singoli istituti sono molto ampie ora, così come le autonomie di programmazione dei singoli insegnanti: che l’adoperino, questa ampiezza. Che facciano la scuola ideale che tutti hanno tanto bene in mente: cosa glielo impedisce? I soldi? Non mi risulta che Don Milani o la Maria Montessori avessero budget miliardari, e non mi par di ricordare che il professor Keating de “L’attimo fuggente” avesse bisogno di materiali costosi per far scuola ai suoi studenti. 
Quando non vedrò più il fuggi fuggi al momento di stabilire chi vuol seguire una qualunque attività integrativa o accompagnare i ragazzi in gita - “Una faticaccia, una responsabilità… e poi il museo egizio l’ho già visto sei volte” “Beh, allora portiamoli al museo del cinema” “Ma figurarsi, e cosa gli raccontiamo del cinema? E mica è nel programma: io non ne so niente. E poi chissà che confusione fanno in un posto così. Facile anche che si faccian male: sai che responsabilità?” - o addirittura in giardino, alle elementari “Ma perché non uscite mai in giardino?” “La maestra ha detto che poi sudiamo e i genitori si lamentano e lei non vuole responsabilità. E poi se ci facciamo male la responsabilità è sua” “Quindi l’intervallo in classe?” “Sì: anche nei corridoi non si può, che poi corriamo e se qualcuno si fa male, guai, la responsabilità è loro.” *
Quando vedrò uno sciopero degli insegnanti proclamato per rivendicare istanze didattiche, strutturali, culturali, quando li vedrò gridare compatti per pretendere una scuola migliore e non per cinquanta euro in più con il posto fisso a tutti garantito allora forse mi parrà meno ridicolo parlare di frustrazione di alti ideali formativi.

*Sarei anche, in generale, molto stufa di questo non aver mai, nessuno, la responsabilità diretta e precisa di niente: quando si prova ad attribuirla a qualcuno immediatamente costui spalanca le braccia per mostrare le piaghe della crocifissione e strilla che si vuole “scaricare” la responsabilità su di lui. L’ipotesi che quella responsabilità in qualche momento se la sia assunta, che sia di fatto sua per il ruolo che ha o i compiti che svolge non è contemplata.
La vecchia e sana piramide gerarchica in cui più stavi in alto più responsabilità avevi è diventata uno scivolo: la colpa è sempre di chi sta più basso. L’industria va maluccio? Sarà colpa degli operai. La scuola è uno schifo? Colpa di quei maledetti scolaretti.

P.S. del 7 marzo. È sui giornali di oggi che un bimbo di quattro anni - quattro - è stato espulso dalla scuola materna perché troppo violento. Il quotidiano dice testualmente "le sue vittime, due maestre...". Chissà, chissà come sarà atterrito quel bambino scoprendo che gli adulti sono spaventati da lui. Chissà come si sentirà indifeso dai pericoli del mondo scoprendo che i grandi sono incapaci di difendersi da uno piccolo come lui.

Postato da: sphera a 14:44 | link | commenti (19)

venerdì, 02 marzo 2007

- Mamma, quando arriva il lupo a mangiarmi?
- Ma cosa ti viene in mente, Luigino?
- La nonna ha detto che se non faccio il bravo viene il lupo e mi mangia.
- Ma non faceva sul serio, sono cose che si dicono per dire, sciocchino…
- Sì, sì. Dicevi così anche quando la maestra ha detto che se non stavo zitto mi tagliava la lingua.

Postato da: sphera a 12:51 | link | commenti (15)
 


giovedì, 01 marzo 2007


Non è che gli alieni non arrivino. È che scappano subito.

Postato da: sphera a 11:00 | link | commenti (18)



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