giovedì 1 dicembre 2011

Settembre 2006

venerdì, 22 settembre 2006

Prova a pensare che per centinaia di migliaia d'anni - anche milioni, se te lo ricordassi - sei praticamente sempre stato all'aria aperta.
I luoghi chiusi te li sei cercati, e poi costruiti, solo per difenderti da qualcosa di precisamente dannoso: dalle belve feroci, dai nemici, dalle intemperie, da ragni, topi e serpenti (da questi oltretutto non ti è mai riuscito bene). Se il tempo era bello, se non c'erano bestiacce in giro o nemici nei dintorni non ti veniva neanche in mente di stare al coperto, perché mai avresti dovuto?
Per migliaia d'anni, fino all'altroieri, era fuori che vivevi: nei campi arati e in quelli di battaglia, negli orti e nei frutteti, su barchette e greti, nei boschi nelle paludi e sugli alpeggi, su e giù per strade mulattiere carrarecce e sentierini o traversando i prati che si fa più in fretta.
Era all'aperto il mercato dove andavi a vendere e comprare, aperta la piazza dove facevi due chiacchiere, trattavi politica e affari e facevi scambio di notizie, dove guardavi viandanti teatri e giocolieri e a volte qualche bel rogo o impiccagione.
Fossi soldato o contadino, pastore mercante o fraticello, pollivendola o cacciatore, pellegrino fattucchiera puttana o pescatore era proprio soltanto se faceva molto, molto freddo o pioveva davvero troppo forte che ti chiudevi in un posto riparato. O magari per dormire, che passando il tempo di gentaglia in giro ce n'è stata di più, anche se di animali cattivi sempre meno.

Prova a pensare a quello che fai adesso, invece. 
Ti alzi la mattina in una stanza ermeticamente sigillata, d'inverno perché è freddo, d'estate perché c'è l'aria condizionata accesa e nelle mezze stagioni perchè è sempre meglio evitare gli spifferi: aria di fessura è aria di sepoltura, chi è che non lo sa.
Dalla finestra vedi altre finestre, se ti sporgessi e ti torcessi a sufficienza magari anche un pezzo di cielo ma non ti viene in mente, e poi comunque i vetri son scomodi da aprire, con tutti questi diversi strati di tende imposte tapparelle e paraspifferi, veneziane e mantovane.
Dopo colazione esci di casa, chiudendo con cura dietro le spalle una porta blindatissima che hai pagato molto di più di quanto vale quello che un ladro ti potrebbe mai rubare entrando, lasci che ti si serrino morbide davanti le porte di un ascensore che ti include nella sua capsula rivestita in finto legno, giù fino al garage. Fai qualche passo nella penombra odorosa di benzina ed entri in macchina, dove prima di partire ti assicuri, con molta attenzione e l'ausilio di diversi dispositivi elettrici ed elettronici che siano perfettamente chiuse le portiere e il baule e che siano ben allacciate tutte le cinture. Avvii motore, aria condizionata e riscaldamento e parti.
Ascolti la radio nel tragitto, o musica soffusa che riempie e colma l'abitacolo impermeabile e metallizzato e fai gesti con la mano e con la bocca all'uomo che vorrebbe lavarti il vetro, senza parlare tanto non ti sente, e tu non senti lui. Deponi l'auto nel box dell'azienda o se sei proprio uno sfigato e lavori per un ente non fornito di parcheggi sotterranei ti tocca fare qualche metro a piedi, magari pioviggina anche: sono sofferenze, queste.
Per fortuna poi c'è un'altro ascensore e una serie di locali - ufficio, fabbrica, ospedale, scuola - ben chiusi e puliti, dove trascorri la tua operosa giornata respirando aria più volte riciclata e ben climatizzata.
Sulla via del ritorno ti infilerai a sudare in compagnia, nell'umido calore di acari e di piedi di una palestra moquettata e in seguito, parcheggiando sotto che nemmeno devi mettere il soprabito o impolverare i sandaletti, passerai da un supermercato o meglio ancora da un centro commerciale, dove trovi anche il parrucchiere la tintoria il cinema e la pizza da asporto senza che ti tocchi uscire, sai mai che faccia caldo, o piova.
Torni a sera (è sera? pare di sì, a un dato momento dev'essere venuto buio, vai a sapere quando) nella tua accogliente casetta, blindi il portoncino e accendi la tv per vedere cosa succede nel mondo (cosa succede sulla Terra, ché potresti vivere su Venere o sulle lune di Giove, tanto pochi contatti hai con l'atmosfera, l'aria, la temperatura).

E poi ti stupisci se ti senti un po' così, un po' chiuso, un po' oppresso ma non sai bene da cosa. Ti stupisci se non sai più pensare cose interessanti, quelle belle cose che ti venivano in mente quando ti trovavi per ore con il buio assoluto tutto intorno e miliardi di stelle davanti agli occhi e inventavi tutti i modi in cui poteva essere fatto l'universo, quelle cose carine che inventavi quando tra le onde e le maree, ravanando con i legnetti nella sabbia, buttando sassi nei burroni o facendo falò che illuminavano dal basso le foglie nel bosco escogitavi le leggi della fisica e della geometria, costruivi poemi e sistemi interi di filosofia. Quelle cose buffe che quando vedevi l'alba soffiare tra i pini ti veniva da ridere pensando che il mare aveva proprio lo stesso colore del vino.
Non sai più distinguere una quercia da una carota, una bassa marea da uno tsunami, ti fanno schifo la terra e la polvere (e anche un po' l'erba, che chissà quante bestie c'è nascoste dentro), non vedi un'aurora non incorniciata da uno stipite di finestra dai tempi della rivoluzione industriale, passi mesi interi senza uscire all'aperto e ne sei tutto soddisfatto perché la pioggia il solleone il vento il fango e le intemperie li trovi un'insensata e snervante seccatura.
E poi ti stupisci se ti senti come dire, prigioniero. Non è il capo che ti opprime, non è la moglie che ti lega, non son le rate della macchina che ti premono sul petto. È proprio che ti manca l'aria.

(Ah, no, scusa. Tu invece vai a correre una mezz'oretta al parco - ogni tanto - è vero. Fai bene. Rimane un po' vicino alla tangenziale quindi gli odori son più che altro di scappamento e di benzene e l'han piantumato solo quindici anni fa perciò gli alberi sono poco più alti di te. A sapere che alberi sono: ma tanto sono oriundi di un altro continente, ché gli architetti paesaggisti trovano molto più fini le essenze un po' esotiche, un po' particolari: sono alberi immigrati, arbusti extracomunitari molto poco integrati. Qualche uccellino ci sarebbe, sopravvissuto alle cornacchie, ma non lo senti perché ci hai su l'Ipod. Meglio, così non senti neanche le cornacchie che fanno un brutto verso - ma pensa, son cornacchie: pensavo fossero falchi o gabbiani... ma son poi tutti uccellotti, un po' tutti uguali alla fin fine. 
Il tempo è mite, altrimenti non saresti uscito, siam mica nati per soffrire, animali selvaggi feroci o velenosi non ce n'è, salvo il tuo pitbull, quindi puoi rilassarti con una corsetta leggera e tutto il tempo per pensare con calma a quella questione di lavoro che domani devi assolutamente definire. Fai bene. La natura è una gran bella cosa.)

Postato da: sphera a 12:47 | link | commenti (17)

giovedì, 21 settembre 2006

Pensavo a questa cosa dei luoghi chiusi. Ho letto, come ogni anno, almeno quindici articoli, servizi, inserti e dossier che illustrano il disagio da fine vacanza e consigliano, o più sovente prescrivono, terapie trucchi e strategie per sopravvivere fino alle prossime ferie.
Ora, è vero che essere in vacanza è più bello che no – e questo lo sappiamo da quando eravamo alle elementari - però diosanto, se uno deve sentirsi svenire, avere attacchi d’ulcera e di panico, cadere in depressione da psicofarmaci pesanti, meditare il suicidio ad ogni rientro al lavoro, alle abitudini, alla città forse sarebbe il caso che cambiasse lavoro (e abitudini, e città).
Voglio dire, se la vita che fai ti rende mortalmente triste, profondamente infelice, se sei costantemente angosciato e contratto e disperato forse il problema non è che siano finite le ferie quanto che fai una vita di merda.
Se detesti fare che so, l’ingegnere, o la professoressa o il perito chimico, non sei mica obbligato a farlo. Non è che perché a tredici anni hai scelto ragioneria (perché c’era il tram comodo e poi ci andava anche il Paolo che era il tuo migliore amico) allora per tutta la vita tu sia obbligato a fare il ragioniere odiando ogni singolo istante della tua giornata lavorativa. Puoi fare il fiorista o l’elettrauto o il parrucchiere, se vuoi. Davvero.
Poi continuerà a piacerti stare sulla spiaggia a bere l’aperitivo verso il tramonto, certo, preferirai comunque poter dormire fino alle dieci invece che alzarti alle sette, avrai voglia lo stesso di andare a spasso in una città che non conosci o di abbronzarti su un atollo ma non dovrai ricorrere a un ciclo di psicoterapia ogni volta che finirà una vacanza.
Continua a stupirmi la quantità di persone che sento dire di non sopportare più – ma più, ma proprio più - il proprio lavoro, la propria città, la propria moglie o marito e tenerseli stretti. E guai chi glieli tocca.
Era dei luoghi chiusi che avevo intenzione di parlare e invece ho detto tutt’altro. O forse no.

Postato da: sphera a 10:25 | link | commenti (10)

martedì, 19 settembre 2006

Fa ancora abbastanza caldo per bere il caffè, la mattina, seduta sul gradinetto che guarda, come me, verso sud. Cielo sereno, 20,4°. C’è buio alle sei: l’alba inizia appena ad alitare, poco più chiara del blu, ad est. Una luna sottile come l’orlo di un bicchiere dondola con appesa una stellina, come in quel Magritte, ma senza nuvola. Uno stormo vicinissimo e improvviso di uccellini mi passa sopra con uno scroscio sussurrato diretto a sud-ovest. Orione guarda a nord, a braccia spalancate in mezzo al cielo.

(domani compio gli anni, e tutti i punti cardinali sono al loro posto.)

Postato da: sphera a 14:33 | link | commenti (10)

lunedì, 04 settembre 2006

Ecco, sono tornata, contenta e inselvatichita. Ho confermato la sensazione che avevo da tempo, di essere ben più adatta a una civiltà tra il paleolitico e il neolitico – di cacciatori raccoglitori diciamo, con giusto alcuni spunti di agricoltura – rispetto a quella in cui mi tocca vivere, che riesco a sopportare solo in virtù del fatto che sia possibile procurarsi del vino.
Del resto, l’unica volta in cui ho avuto mal di schiena è stato quando dopo due settimane di nuda terra ho dormito in un letto.
Poi vi racconto, comunque. Adesso vado ad accovacciarmi sul davanzale, che ai luoghi chiusi devo ancora riabituarmi.

Postato da: sphera a 09:40 | link | commenti (17)

3 commenti:

  1. vorrei dire, relativamente al post del 21 settembre 2006, che scegliersi un tipo si lavoro piuttosto che un'altro spesso non è una "scelta" (scusa il bisticcio): si nasce e si cresce in un certo contesto, e anche venire a conoscenza che esiste "altro", che magari ci potrebbe piacere, risulta difficile se non impossibile in molti casi (se avessi saputo prima che mi sarebbe piaciuto fare il veterinario, ci avrei almeno potuto provare: ci sono alcuni "punti di svolta" nella vita da cui non si torna indietro, se non si hanno le risorse economiche sufficienti); se avessi saputo che l'informatica non è tutto quell'eldorado che sembrava quando l'ho scelta, avrei fatto il professore o magari il medico (bleah!) come avrebbe voluto mia madre. Insomma, non tutte le "scelte" che facciamo nella vita sono poi così libere e consapevoli del senno di poi.

    RispondiElimina
  2. Ma è proprio quello che ho detto, mbuto: uno magari si trova a fare il ragioniere perché per mille motivi ci si trova. Il punto è: se poi ti accorgi che detesti quel lavoro, al punto che solo l'idea di tornare a quella scrivania ti fa star male, non è detto sia obbligatorio continuare a farlo. Magari tifarebbe più contento un posto di commesso al banco ortaggi del supermercato, chissà. Il punto è non dare per scontato che la propria vita sia necessariamente su un binario definito che ci è impossibile cambiare. Il più delle volte è possibile, eccome.

    RispondiElimina
  3. forse non mi sono spiegato bene, cito me stesso: '(se avessi saputo prima che mi sarebbe piaciuto fare il veterinario, ci avrei almeno potuto provare: ci sono alcuni "punti di svolta" nella vita da cui non si torna indietro, se non si hanno le risorse economiche sufficienti)' perché l'ho vissuto; e anche oggi, che potrei o forse dovrei trovarmi un lavoro diverso, il massimo della diversità che la vita mi concede è dare qualche lezione privata, oppure aiutare un amico a caricare e scaricare la lavastoviglie del suo ristorante per pochi euro, cosa che quando ho tanto mal di schiena non posso nemmeno fare. Niente a che vedere con la vita che corre sui binari, è solo questione di "caste".

    RispondiElimina