venerdì 30 dicembre 2011

Maggio 2008

venerdì, 23 maggio 2008

- Slobodàn, carissimo.
- Carmine! Che piacere.
- Tutto bene? I tuoi, le ragazze?
- Massì, massì. Non ci possiamo lamentare. Le ragazze sono un fiore poi, vedessi. Ne ho una cinquantina nuove, tutte moldave e lettoni: una delizia, ti scaldano il cuore, guarda. I ragazzi invece  danno sempre qualche grattacapo, ho dovuto eliminarne due giusto l'altro ieri, che facevano un po' troppo i birbantelli. Ma son ragazzi, si sa, ogni tanto gli scappa la mano e tocca rimetterli in riga... Tu piuttosto, hai sistemato quella cosuccia che ti impensieriva?
- Ma sì, niente di che, tutto risolto. È che l'acido diventa ogni giorno più caro, accidenti. Di questo passo andrà a convenire scioglierli nello champagne, andrà.
- Non me lo dire. Fortuna che adesso ripartono le grandi opere e ci saranno tutti i piloni in calcestruzzo che si vuole... quello è una gran comodità, valà. E che mi dici di Pasquale O' Funerale? Sta bene, hai notizie?
- Benone, benone: l'ho sentito settimana scorsa. In gran forma. Si lagna che ha messo su peso, quello sì. Il 41bis è una maledizione per la linea: cucina troppo ricca, troppo poco movimento... io avevo preso più di otto chili, a suo tempo. Ma passa a trovarlo qualche volta che gli fa piacere, lo sai.
- Anche a me, sapessi. È che sai bene, manca sempre il tempo... gli impegni, il lavoro, la famiglia, la Famiglia... Ma mi mancate, sai? Se n'è fatte di cose, insieme, eh?
- Eh, davvero. Che bella compagnia. Quanti bei ricordi. Quando ci penso l'idea che sia tutto finito mi fa proprio tristezza, sai.
- Bisogna esser forti, Carmine mio, bisogna esser forti. Lo diceva sempre mio nonno: Un vero uomo si batte fino alla fine, ma sa accettare la sconfitta.
- Già. Parole sante. E questa volta ci hanno proprio battuto, eh... Finito. Tutto finito.
- E che vuoi farci, quando non si può non si può. A tante cose avete ben tenuto botta, alle infiltrazioni, alle intercettazioni, alle investigazioni fatte a modo, alla fine ne siete sempre usciti fuori. Ma questa cosa qui che non puoi più far girare contanti e assegni sopra i 5.000 euro è un colpo troppo duro. Non ce la si può fare, è inutile, non c'è maniera.
- No, stavolta no. Ci hanno sconfitto, ce l'hanno fatta... maledetti.
- Guarda c' è Escobanez che è di un giù... non se l'aspettava, non se l'aspettava. Tutto ma non questo. Un colpo così, non riesce a farsene una ragione. E non ti dico Alioscia: l'altra sera piangeva come un bambino... sai questi russi quanto son sentimentali.
- Povero caro, digli che sono commosso dalla sua partecipazione, diglielo. Del resto hai ragione tu, tocca arrendersi e darsene pace: hanno vinto, una volta per tutte.
- Pareva impossibile ma sì, finiti... vi hanno finiti. Un colpo da maestro, questo dei 5.000 euro, gli va dato atto.
- Massì, onore al merito. Stavolta ci sono riusciti. Abbiamo perso. E ora ti lascio, Slo, che ho anche da pensare a tutta sta gente che mi tocca licenziare... killer, corrieri, estorsori, spie, trafficanti, puttane... gente che ha famiglia, non mi ci far pensare. Quanti posti di lavoro, quanta gente a spasso... non mi ci far pensare.
- Son problemi grossi eh, lo so bene. Ma vedrai che qualcos'altro da fare lo trovi, coraggio, su, non ti lasciar andare.
- Ma no, non preoccuparti, qualcosa troverò... avevo in animo di aprire un piccolo parrucchiere magari, mia moglie sai, è bravina... Certo, la mafia era un'altra cosa. Tanto lavoro per finire così, che peccato.

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domenica, 11 maggio 2008

Sono preoccupate, le autorità: gli pare siano troppi i matrimoni tra rumeni e magrebini. Gli è sorto l'atroce sospetto che da quando i rumeni - accidenti, ma quanto mai, ma chi l'ha deciso? - sono diventati cittadini europei questa gentaglia si sposi per ottenere più facilmente un permesso di soggiorno.
Orrore.
Occorrono controlli.
Ora, io trovo anche solo l'idea di affacciarsi curiosi e prepotenti a controllare questo campo semplicemente indegna e ripugnante.
Per due, che a me sembrano chiarissimi ed evidenti, motivi.

Primo. A me che qualcuno - chiunque - si permetta di sindacare sui motivi che spingono chicchessia a sposarsi fa inorridire.
Se sposarsi è lecito (che a me non piaccia è tutt'altra questione) allora chiunque sposa chi gli pare e per i motivi - suoi - che più gli aggradano.
A meno che non si consideri opportuno e fattibile un apposito Test di Vero Amore da effettuarsi - tutti - prima di avere il permesso per la celebrazione.
Sarei molto curiosa di vederne lo svolgimento: in apposite affollate sessioni o in tremebondi e sudatissimi tu per tu delle coppiette davanti a una arcigna commissione?
(Io mi son fatta il foglietto, e tu? Noooo, e se ti beccano? Io ho studiato un casino, con Ahmed, siamo preparatissimi, siamo sempre stati dei secchioni tutti e due.)
- Bene signori, dopo lo scritto di lettera d'amore e l'orale di infuocata dichiarazione ora preparatevi alla prova pratica. Gli amplessi si svolgeranno necessariamente entro le ore 12. Al suono della campanella dovranno essere riconsegnati preservativi e reggicalze e verranno immediatamente assegnati i voti. La commissione sorveglierà il corretto svolgimento della prova e chiunque venga sorpreso a copiare verrà immediatamente espulso. Consegnate i cellulari, prego.

Sarei anche molto curiosa di vedere - una volta stabilito che può sposarsi solo chi qualcun altro ha deciso che lo fa solo ed esclusivamente per sincero e puro amore - come se la caverebbero tutte le signorine che si dannano per sposare divetti o calciatori o anziani magnati facoltosi, o tutti quei giovanotti che della promessa sposa non si ricordano affatto il nome ma molto bene la taglia di reggiseno.

Secondo. Il fatto che si trovi orripilante il sospetto che qualcuno possa darsi un gran da fare, con ogni mezzo, per procurarsi un permesso di soggiorno mi lascia del tutto interdetta.
Dato che si era detto che ci facevano paura e ribrezzo i clandestini - che per il solo fatto di esserlo saranno sicuramente anche un po' delinquentelli, almeno un po' - dovrebbe riempirci di gioia questo commovente desiderio di volersi regolarizzare.
Ostinatamente, fervidamente, ad ogni costo, superando tutte le migliaia di ostacoli e trabocchetti e trappole insidiose che gli abbiamo messo sul cammino.
Che stupisce davvero che non siano ancora usciti tutti insieme dai cantieri e dai locali lavanderia, dai campi di pomodoro e dai capezzali delle nonne per andare semplicemente a dire: se non ci volete clandestini regolarizzateci, occazzo.
Per ogni infido e torvo clandestino che brama un permesso di soggiorno dovremmo stappare una bottiglia: un'irregolare in meno, che bello.
E quanto meno pagargli noi i confetti.
Viva gli sposi.


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venerdì, 09 maggio 2008

Mi sono sentita un po' nonno Nanni, oggi. Perché il nonno Nanni ogni primavera riverniciava le imposte della casa sul lago di verde.
Dapprincipio era un signorile colore scuro, il sobrio e novecentesco verde vagone di tutte le case che si affacciano su tutti i laghi.
Poi però la sua scelta ha deviato man mano verso tonalità sempre più squillanti. Forse man mano che gli calava la vista aveva bisogno di colori più accesi, o forse semplicemente gli era virato il gusto sullo sgargiante. Negli ultimi anni le imposte dopo essere passate dall'erba al veronese allo smeraldo erano di un abbacinante verde menta, che inorridiva nonna mamma e zia e piaceva moltissimo a noi bambini perché veniva voglia di leccarle come un ghiacciolo, così lustre.

Ma il fatto è che Nanni una volta dipinte le imposte non si fermava. Dal momento che di vernice ne era avanzata, col pennello e il barattolo in mano colorava di verde tutto quanto gli sembrasse bisognoso di una rinfrescata. O anche solo quello che per combinazione si trovava lì nei pressi. 
La ringhiera del terrazzo, i montanti del pergolato, il balconcino. Ma anche il corrimano delle scale, il sostegno dell'antenna tv e anche un po' l'antenna, il grosso. La panchina sotto il tasso, lo stendibiancheria della nonna, l'altalena, il tavolino del caffè, il monopattino, il rubinetto della canna, una vecchia brocca di alluminio, il cancello, il campanello, la serratura e la chiave.

Così oggi, dopo aver verniciato il muro del bancone della cucina ho guardato il barattolo e ho visto che di vernice ce n'era ancora parecchia. E ho verniciato il calorifero della cucina, che era lì a un passo. Poi quello del soggiorno appena più in là, e poi l'altro dell'ingresso, che se no si vedeva la differenza. E le relative finestre con gli infissi, che a quel punto stonavano con il resto così bello bianco.

Mentre in cima alla scala mi allungavo come un serpente per arrivare allo stipite in alto senza cadere giù in cortile pensavo che l'esercizio serve, e anche la ginnastica e il tango, perché sono molto più capace di distribuire i pesi e di organizzarmi l'equilibrio. E quasi non mi fa più paura la scala, e forse un giorno mi passeranno anche le vertigini e potrò andare in montagna anche su quelle alte.

Mentre verniciavo il calorifero della cucina accucciata sui talloni pensavo alle banche, e perché una volta accertato che sei in grado di renderli e essersi procurate ogni garanzia che lo farai, ti devono chiedere per cosa userai i soldi che ti prestano. Perché poi se dici che devi comprare un'automobile va bene, se vuoi comprare una macchina volante di fil di ferro garza e piume non va, come se le macchine volanti fossero di per sé segno di insolvibilità, parecchio più di un Suv.

Mentre passavo il pennello sull'anta sinistra pensavo al dono di un germoglio di patata e di un vaso con un cespo di violette di bosco, bianche.

Mentre dipingevo lo stipite destro schiacciando il pennello forte poi sempre più leggero pensavo che nonostante il giornale stavo sgocciolando in giro. E che proprio non c'è modo, per quanto si stia attenti, di non fare almeno un po' di danno quando si fa qualcosa. Che qualsiasi cosa tu faccia poi devi un po' sistemare e ripulire, almeno un po'.

Mentre mi concentravo sui dettagli della finestra, proprio vicino al vetro, pensavo a com'è cattivo Tom Waits quando dice Don't care to miss me, I never remebre the names, e ho fatto ripartire la canzone. Ho macchiato di bianco il tastino, ma ci penserò poi.

Mentre andavo via bene, la vernice diluita perfettamente al punto giusto sull'infisso sinistro, pensavo ai gelati, ai pistacchi turchi e alle mandorle, e anche ai mandorli, ai diagrammi di flusso e ai colori delle spezie.

Mentre ritoccavo il bordo in basso pensavo che la prossima volta che di notte ti affaccerai a questa finestra, come ieri, sarà tutta lustra e bianca. Che bello.

Mentre rifinivo con pennellate lente e precise l'intorno della maniglia pensavo che devo ancora fare tutto il cambio di stagione e che ogni volta trabocco di contentezza quando è ora dei vestiti dell'estate,  poi tra una cosa e l'altra devo stirare quaranta metri cubi di biancheria assortita, ma non adesso.

Mentre mescolavo l'acquaragia che c'è scritto che è inodore e non lo è affatto ma comunque sa un po' di pino e mi piace, pensavo se bastavano le sigarette per arrivare a quando dopo aver finito tutto ed essermi lavata e tolta anche quelle due grosse gocce dai capelli avrei potuto, presentabile, scendere a comprarle e ho stabilito che sì.

Mentre mi affacciavo pericolosamente per verniciare il punto più esterno, in alto, pensavo che avevo il sole negli occhi e che non bisognerebbe mai accingersi a qualcosa quando si è abbagliati, ma è così tanto bello che magari fare cose senza vederne con precisione i contorni e i confini perché un po' tutto ti sfolgora intorno forse viene anche meglio, chissà.

Poi è finita la vernice. E sono andata a bere del vino bianco sul terrazzo.

Postato da: sphera a 19:31 | link | commenti (9)


mercoledì, 07 maggio 2008

Bene. La settimana si va concludendo com'è iniziata, sotto la lampeggiante insegna della Legge di Murphy. Ma poiché questo bel sole induce a uno sconfinato ottimismo, sono certa che la prossima sarà sotto l'egida della Legge di Sphera:
Se qualcosa può andar bene, in alcuni casi  - se ci credi con tutta l'anima e il cuore, ti ci impegni a fondo sbattendoti forsennatamente notte e giorno e sei straordinariamente fortunato - è possibile che in circostanze particolarmente favorevoli possa andare parzialmente benino.





(e difatti prima, quando sono uscita appena prima che il sole si accovacciasse dietro la collina che sta già diventando tutta bianca di robinie, i batuffoli di polline volavano raggianti e il grillotalpa che tagliava l'erba fabbricava un buon odore, assieme alle rose che esplodono grasse fuori da ogni orto.
E il muro della cascina scintillava di infinitesimi lustrini. Li facevano coi minerali gli intonaci, e sono rocce vive, non scatolini di plastica albicocca.)

Postato da: sphera a 13:48 | link | commenti (3)


lunedì, 05 maggio 2008

A un capo c'è la tenacia, che è una virtù. All'altro la testardaggine, che è un difetto. 
L'elastico tra i due deve rimanere ottimamente teso, altrimenti la fionda tira da schifo.
Quando senti che si lascia andare, che si allenta, se sei di buon umore fai leva sulla virtù: Dai che va tutto bene, tira forte, ancora un momento tieni duro e vedrai che ce l'hai bell'e fatta. E continua a sorridere che fai più forza, proprio così, sì.
Se sei di malumore punta sul difetto: Assì, pensi che basti questo? Adesso ti faccio vedere che non è così facile: io il mio capo della corda non lo mollo, a costo di tenerlo tra gli incisivi e di rompermi l'ultima unghia intatta, quella a cui avevo dato lo smalto così bene. Poi vediamo chi vince, vieni qui che vediamo.
È molto conveniente avere per ogni virtù un corrispondente gran difetto: magari il sasso non andrà lontano, ma almeno hai un attrezzo per lanciarlo.


(l'arcobaleno di stasera, mentre da una parte rimbombavano con gran fracasso i tuoni e dall'altra faceva lo scemo il sole, è un altro genere di elastico o forse lo stesso: nero di pioggia e e bianco di luce e in mezzo, lanciati in aria, tutti quanti i possibili colori.)

Postato da: sphera a 18:44 | link | commenti (2)



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