martedì 20 dicembre 2011

Settembre 2007

mercoledì, 19 settembre 2007

Ecco, adesso parliamo di vacanze. Ma come, ancora? Sì, ancora.
Perché il fine che mi ripropongo è quello di riuscire a spalmare su tutto il resto dell'anno quegli elementi che rendono tale una vacanza.
Non è semplice come pare, perché il senso della vacanza non è affatto sovrapponibile al  riposo: c'è chi in questo periodo si dedica ad attività estremamente faticose, così come un sacco di gente si riposa molto ma molto di più quando è sul posto di lavoro.
Ora credo di avere individuato con una certa precisione quali siano i parametri fondamentali, perciò da qui in poi sarà tutta discesa.

Innanzitutto, la vacanza.
In senso etimologico di vuoto, di mancanza. La vacanza è sottrarre. Sfoltire, snellire, ridurre: il superfluo, le presunte necessità che lo sono solo raramente, i bisogni che non lo sono quasi mai, le esigenze, che già la parola esigere mi mette addosso non sai che nervosismo.
I bisogni biologici di base, reali ed effettivi, sono pochi e ben noti: mangiare, bere, dormire, scopare. Se a questi aggiungi il massimo spazio aperto che riesci a ottenere, un minimo riparo dalle intemperie, un po' di silenzio, un po' di amore, un po' di vino e qualche sorriso, hai tutto quello che ti serve e stai benone. Ogni cosa che aggiungi diventa subito un accenno di preoccupazione, un'incombenza, uno sforzo, un peso da portare.
Ti vesti, e ti tocca pensare che non hai niente da metterti per l'occasione. Pigli la macchina e ti tocca metterci della benzina e dar retta anche ai semafori. Ti circondi di cose da comprare e poi ti tocca trovare il modo di guadagnar dei soldi. Accendi la tivù e ti tocca pensare come fare per riuscire contemporaneamente a non morir di noia e a non arrabbiarti troppo. Accendi il telefono e ti tocca di rispondere, magari anche richiamare. Via, via tutto. Più è leggero il bagaglio meno fatica fai.

Poi, il tempo.
Non c'è alcuna necessità di sapere che ora è. Quasi mai.
Guardare un orologio è utile - utile davvero- solo quando devi prendere un treno, un aereo, un bus. Altrimenti, l'approssimazione data dalla luce e dalle tue sensazioni - Oddio che fame: sarà ora di mangiare... Mmmmh, che sonno, è ora di andare a dormire - è largamente sufficiente.
Nella vita quotidiana diciamo che possa servire sapere con esattezza l'ora di uscire di casa per andare a lavorare. Basta e avanza.
Dopo un certo tempo, spesso addirittura mesi o anni, che uno compie delle azioni - più o meno le stesse, più o meno nello stesso ordine - è perfettamente in grado di inanellare le incombenze della giornata e arrivare a sera, senza alcun bisogno di guardare un orologio.
Il quale del resto è un'invenzione assai recente: abbiamo vissuto per centinaia di generazioni facendone tranquillamente a meno, o con giusto un paio di riferimenti tecnici nel corso dell'intero giorno (la campana di mezzogiorno, la meridiana per fissare un'appuntamento all'ora nona, la clessidra per calcolare quanto far cuocere l'ovetto). Più continui a stargli addosso e guardare cosa fa, e misurarlo, più il tempo si innervosisce. E poi ti morde.

Poi ancora, l'incertezza.
Nel senso letterale di assenza di certezze. Le certezze escludono di per sé ogni scoperta: se uno è assolutamente sicuro che il mondo sia piatto se ne sta sdraiato sul divano e non va a trafficare intorno alle Colonne d'Ercole.
Così come la programmazione perfetta ed esaustiva fa passare la voglia, e il senso, di mettersi ad agire. Come sensatamente opinava Picasso "se so con assoluta precisione cosa andrò a fare, a che scopo farlo?".
E se ciò che differenzia il turista dal viaggiatore è che per il primo l'imprevisto è un'ansia e un danno e il secondo parte proprio per andare a vedere ed assaggiare qualcosa che non aveva previsto, allora facciamo programmi, sì, ma per cambiarli appena un momento dopo o per poi decidere di non farne affatto. Andiamo là, va bene. Poi ci avviamo dall'altra parte, c'è più sole, e magari ci fermiamo a metà strada, che questo posto è davvero bello. Magari anche andiamo a dormire subito, che ci siamo accorti ora di esser stanchi. E può essere che chissà, ci si alzi all'alba per la voglia che è venuta di camminare e andare a vedere cosa c'è dietro quella collina, nemmeno l'avevo notata ieri. Mangiamo qualcosa poi là, all'ombra, forse. O forse no. Vediamo.
Se non hai deciso cosa succederà ogni cosa che ti accade è un viaggio. Che quando ti sei alzato dal divano mai immaginavi avresti fatto.

Postato da: sphera a 10:43 | link | commenti (10)


martedì, 11 settembre 2007

Quando son tornata ho dapprincipio attribuito il frastornamento al poco sonno della traversata tempestosa, alla necessità di dover riaccendere telefono e orologio, a un po' di fame e sete accumulate lungo il viaggio.
Poi mi sono accorta che c'era un sacco di rumore.
Camion, ruspe, tagliaerba, neonati, cani, uccelli, treni, trapani, automobili, radio, voci, martelli, serrande, televisori, innaffiatoi, sirene: una poltiglia di suoni, una cacofonia che mi svarionava come un gatto dentro una grancassa.
Allora ho capito anche perché in vacanza vado dove c'è silenzio, cerco i posti dove non c'è nessuno, dove se non ti muovi e non tira vento fai fatica a sentire anche un solo suono.
Dove stai lì fermo e te lo bevi, il silenzio totale di chilometri senza niente e nessuno, lo inghiotti a sorsi limpido. E ti fa rabbrividire il verso di un gufo, adagio, e il frastuono che fa la luna quando sorge.

Postato da: sphera a 21:23 | link | commenti (26)

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